Hell is here.

max & lucas

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  1. pearloflight
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    EWDtfBf
    "C
    azzo di umidità."
    Una delle affermazioni con cui se ne usciva più frequentemente in quel periodo, quando le notti al secondo livello erano tutte uguali e ugualmente insopportabili: aria irrespirabile, umidità fredda che ti si appiccica alla pelle del collo, luci abbaglianti che attiravano lo sguardo su pubblicità di bar, night club o dell'ultima schifosa finta bibita in lattina sponsorizzata da aziende che di bitcoin ne hanno già troppi.
    Fosse stato per lei, quella sera sarebbe rimasta chiusa in casa a dormire per evitare di pensare troppo o di incappare in qualche imbecille, ma quando il conto in banca si tinge di rosso non rimane altro da fare che rimboccarsi le maniche e farsi un pizzico più tolleranti.

    Eccola lì quindi, in chiamata vocale con Johnny, uno dei ricettatori più sfigati che conoscesse (ma anche uno dei più ricchi, quando gli capitava il periodo giusto,) a sbuffare silenziosamente con l'aria di chi voleva chiudere la conversazione in fretta.
    "Sì, sono arrivata all'Hell e sì, il tuo amico l'ho già sentito ed informato, dobbiamo solo vederci e parlarne, ma se continui a lagnarti mi fai solo perdere tempo."
    Alzò gli occhi sull'insegna olografica dell'Hell Bar, rossa e gialla, kitsch e traballante almeno quanto il proprietario del posto. Un bar piccolo, posizionato in un seminterrato, illuminato da luci rosse fastidiose, ma la musica metal-elettronica era bassa rispetto alla media degli altri locali, la qualità della rete buona, e la gente che lo frequentava era abbastanza discreta da portarla ad accettare di incontrarsi lì con Lucas.
    "Sì, va bene. Ora lasciami vivere per favore. Ti aggiorno. Fine chiamata" la tagliò corta, con una punta esasperata nel tono della voce mentre dava il comando vocale per terminare la telefonata.

    Sbattè le palpebre e chiuse l'interfaccia dell'ONI, riavviandosi i capelli castani, e si avvicinò all'ingresso, una porta scorrevole olografica che le scivoló davanti agli occhi, dandole il benvenuto all'interno.
    "Vediamo di farla breve" sussurró tra i denti, scendendo gli scalini luminosi e iniziando già a slacciarsi la giacchetta di pelle rosso scuro alla percezione del calore afoso che saliva dal piano interrato. Sotto indossava un semplice top nero e dei pantaloni aderenti dello stesso colore, infilati in un paio di anfibi di pelle. La pistola era infilata nel cinturone, i capelli sciolti e leggermente spettinati, e aveva solamente gli occhi truccati con una linea nera disegnata sulle ciglia lunghe; niente gingilli, niente borsette o fronzoli.
    Piegò la giacca sull'avambraccio mentre si affacciava alla sala del bar, cercando con lo sguardo il volto familiare - si fa per dire - dell'hacker. Avevano già collaborato un paio di volte, era stato un suo contatto a farli conoscere per un lavoro, e tutto sommato le era tornato utile poter contare su qualcuno che sapesse cavarsela meglio di lei con la rete.
    Non sapeva molto di lui, non si era mai lasciata andare o dimostrata desiderosa di fare amicizia, come sempre, per cui si era limitata a conversazioni riguardanti il lavoro, per poi sparire fino all'occasione successiva. Conoscere poco una persona voleva dire non trovarla necessariamente sgradevole come accadeva spesso con chi invece conosceva di più, quindi andava bene così.

    Max Meyer

    umana, mercenaria

    [x] scheda - [x] memo - starring: natalie portman
    code role © Akicch; - NON COPIARE - WANT YOUR OWN? GET IT


    Edited by pearloflight - 19/10/2018, 23:54
     
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    Net Runner ricercato II livello Etero 32 anni
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    Lucas Hall
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    La storia dell’umanità era costellata di grandi obiettivi irraggiungibili. L’Everest. La luna. Lo spazio. Quello di Lucas era il mondo esterno. Uscire dalla sua camera da letto barra camera da pranzo barra salotto barra stanza in cui si dilettava in manuali pratiche di autoseduzione; non per sembrare un narcisista, ma era decisamente irresistibile. «Ho bisogno di cinque minuti e uno xanax», era sulla sua sedia super ergonomica da nerd che si addormenta con il visore ancora attivo. Connessa al suo ONI c’era Max, la malvagia donna che di tanto in tanto compariva dalle tenebre per torturarlo. Voleva farlo uscire. Andare al bar. Ne esistevano a bizzeffe di bar nella rete, perché non incontrarsi lì? dove le calorie di una birra non si contano perché non sono reali, ma senti lo stesso il sapore sulla lingua, in perfetto stile matrix, il nichilismo dei popoli new age. No, lei non era tipo da visore, sebbene chiunque altro a Bay City lo fosse, soprattutto chi aveva a che fare con faccende losche e vite vissute allo sbando, era un modo molto comodo per non farsi vedere in faccia, o in giro, diventare insomma un bersaglio facile. La professionalità di Max tuttavia lo fece sentire un moccioso che fa i capricci, un colpo alla sua virilità, così si convinse ad infilare i pantaloni e le scarpe per uscire finalmente dalla porta insieme ad un cappello e un paio di occhiali scuri. Li aveva scelti non tanto per proteggersi dalla luce, quanto piuttosto per nascondere le sue occhiaie e con esse la sua scarsa voglia di incrociare sguardi di estranei sconosciuti. Prese il treno a sospensione fino ad un anonimo edificio del secondo livello, dove il parapetto si affacciava su una strada particolarmente affollata. Le persone da lì sembravano formichine indaffarate, nel mondo virtuale avrebbe potuto fare un bel salto dalla ringhiera e lanciare ragnatele tra i palazzi. Sbadigliò e con tanto di testa incassata tra le spalle ingobbite e le mani affondate nelle tasche del giaccone verde militare puntò il bar. Le insegne al neon sembravano stranamente scialbe, i colori nel mondo virtuale erano più accesi e vividi, abituarsi all’assoluta assenza di un iperstimolazione ottica rendeva sempre tutto un mortorio, spento più di quanto non fosse in verità. Arrivato all’Hell House abbordò un affascinante tavolo nascosto, un imperdonabile scelta di stile per chi invece se la stava godendo in mezzo alla sala, con tanto di birre sintetiche e trafficata vita sociale. «Un whiskey», odiava il whiskey. Tuttavia preferiva fare la parte di quello che si gode la strada per quel poco che la batte. Quando dopo pochi minuti intravide il profilo minuto di Max cercarlo in mezzo alla gente alzò il bicchiere che gli aveva portato il cameriere. «Sono qui», lo disse senza troppo entusiasmo. Quando la vide avvicinarsi si sporse verso di lei «Sono perfettamente d’accordo, credo mi stia venendo un’allergia al pelo degli umani, sai come quella per i cani o i gatti» finse di rabbrividire, lui era più tipo da creatura mitologica allevata nella rimessa che aveva occupato in una land urban fantasy, un covo perfetto dove teneva anche le sue macchine sportive, quelle che rivendeva per tanti coin profumati. «Dici che esiste davvero? Se esiste io ce l’ho perché questa faccenda di stare in mezzo alla gente mi fa sentire sempre stranamente di merda» scosse la testa prendendo un sorso di whiskey. All’inizio non sentì nemmeno il sapore, poi l’esofago in fiamme lo costrinse a tossire «La prossima volta andiamo ad una yogurteria».
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  3. pearloflight
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    P
    er lei che era abituata a frequentare la rete solo per lavoro, invece, le luci rosse erano fin troppo rosse, e i neon dietro al bancone che continuavano a pulsare flashate bianche e viola erano semplicemente fastidiosi. Ormai vivere la rete era alla portata di tutti e all'ordine del giorno, non c'era una singola persona che non passasse almeno un paio d'ore al giorno connesso, per un motivo o per l'altro, ma a lei piaceva diffidare di quel luogo dove ancor più che nella realtà potevano annidarsi i peggiori insetti della società, dove potevano prosperare criminalità e indifferenza, dove l'umanità di una persona si perdeva tra i dati di qualcosa mai davvero tangibile. Max ci teneva a restare coi piedi per terra, un po' per indole, un po' per paura di perdere sé stessa, l'unica certezza in una vita che non era mai stata quella che avrebbe voluto vivere davvero.

    Socchiuse leggermente gli occhi per squadrare meglio i presenti, alla ricerca di quello che invece nella rete ci passava così tanto tempo che ogni tanto gli andava ricordato come sono fatte le persone vere, e lo trovò quasi subito grazie al suo braccio alzato; aveva ovviamente scelto un tavolo il più nascosto possibile, lontano dal bancone, cosa che la donna parve apprezzare.
    Si affrettò verso di lui, adocchiando il bicchiere di whisky che la cameriera vestita in succinti pantaloncini di pelle gli aveva appena piazzato sul tavolo.
    "Uno anche per me" esordì verso la ragazza, indicandole il tavolo con un cenno del capo.
    "Dico che esiste" si rivolse a Lucas non appena rimasero soli. Lanciò la giacca sul divanetto e vi si accomodò sopra con un sospiro, ruotando la testa per sciogliere la tensione nel collo. "Credo di avere la tua stessa allergia, solo che sono più brava di te a tenerla a bada" gli fece notare, con una punta di sarcasmo a tingerle la voce, che era costretta a tenere più alta del solito per sovrastare la musica almeno quanto bastava per farsi sentire dall'altro.
    La cameriera tornò in fretta con il suo bicchiere, posandoglielo davanti con un sorriso meccanico, che lei non ricambiò.
    Osservò il whisky con l'aria stanca di chi non dorme bene da troppe notti, ma non sarebbe stato da lei inforcare un paio di occhiali da sole per non mostrarsi stravolta, era più brava semplicemente a mantenere la sua corazza solida e dall'aria indistruttibile, così che un paio di occhiaie non risultassero altro che una caratteristica di passaggio, evanescente su una persona forte.
    "Quanto sei noioso" replicò di fronte alla lamentela di Lucas,portandosi il bicchiere alle labbra e buttando giù una sorsata abbondante del liquido al suo interno. Non fece una piega quando il familiare bruciore al petto si fece sentire, si limitò ad arricciare appena il naso.
    "La verità è che ti pesava il culo a uscire di casa, non ti sarebbe andata bene nemmeno la yogurteria" gli fece notare, appoggiando i gomiti sul tavolo e reggendo il bicchiere con entrambe le mani. A volte certe affermazioni uscivano dalla sua bocca senza quasi che dovesse pensarci, un modo naturale di punzecchiare costantemente il proprio interlocutore, o di farlo scappare a gambe levate quanto prima.
    Si prese qualche istante per osservare il volto dell'uomo, non ancora così familiare da averne memorizzato i dettagli; sapeva poco di lui, quel tanto che le bastava per permetterle di lavorarci assieme. Avevano collaborato per un paio di casi proprio grazie a Johnny, il rompipalle con cui era in chiamata prima di entrare dal locale, uno di quelli che le affidava più spesso lavoretti che lei puntualmente accettava per portarsi a casa da mangiare. Le aveva dato il nome di Lucas un paio di mesi prima, etichettandolo come un bravo netrunner, e lei si era fidata per forza di cose. Non aveva mai avuto grandi rapporti con quelli che vivevano la rete nel vero senso della parola, forse perché quelli con cui aveva avuto a che fare le avevano rifilato delle scocciature o delle delusioni.
    Anche James Sanders, il poliziotto con cui aveva avuto una relazione e che le aveva voltato le spalle, rovinandole la vita, era uno che ci sapeva fare con quelle cose, e si era dimostrato un avido opportunista, nonché un enorme figlio di puttana, per cui fidarsi di quella categoria di persone le risultava difficile.
    Nonostante questo, i due casi su cui lei e Lucas avevano lavorato assieme si erano conclusi bene ed entrambi ci avevano guadagnato, per cui le andava bene così.

    Visto che le altre volte era stata un po' fredda e forse troppo scorbutica con lui, questa volta, un po' perché non aveva voglia di mettersi subito al lavoro dopo aver lavorato su altro tutto il giorno, un po' perché non le andava nemmeno di tornare a casa, decise che avrebbe provato a essere più cordiale.
    "Come va il lavoro?"
    Cordiale ma professionale, ecco.



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    Lucas Hall
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    Quant’era vero. Non avrebbe alzato il culo nemmeno per uno yogurt. «Forse un frozen yogurt», quelli che gli arrivavano con le spedizioni express erano sempre pessimi, surgelati come ghiaccioli, o schiacciati contro il contenitore. All’apparenza poteva anche non sembrare un tipo preciso, ma nel cibo come nei codici ci voleva una certa finezza e il ricciolo finale nello yogurt era essenziale più delle mutande lavate. D’altro canto era indicativo il fatto che si fosse trasferito proprio accanto al suo ristorante cinese preferito, in quel modo il cibo sarebbe arrivato ancora caldo e perfettamente integro dritto alla porta di casa. La vita disgustosamente comoda era il suo peccato capitale. Si chiese se all’inferno c’era un girone tutto per lui in cui sarebbe stato costretto ad uscire continuamente di casa per fare le normali faccende quotidiane, come lavorare, o fare la spesa. Rabbrividì al pensiero, eppure in quel momento non poteva che pensare che ne sarebbe valsa la pena. Mentre osservava Max mandare giù un sorso di bruciante etanolo si chiese in quale girone invece sarebbe finita lei, senza che lo sfiorasse l’idea che invece sarebbe andata in paradiso, ammesso che esistesse. Se era precipitata lì in fondo insieme ai peccatori di Bay City sicuramente aveva finito per sporcarsi la sua candida coda bianca per farsi strada. Fu cercando di posizionarla all’inferno che si rese conto di non conoscerla affatto, una consapevolezza che stranamente non aveva mai realizzato. In effetti per interessarsi alla vita privata degli altri bisognava averne una e nel mondo virtuale nessuno avrebbe messo in mostra quell’imbarazzante mancanza, così semplicemente si evitava di chiedere. L’unica cosa certa su Maxine era che non sarebbe finita insieme a lussuriosi e seduttori, dal momento che sfoggiava capacità di approccio che una mazza di scopa avrebbe invidiato. Le lanciò un’occhiata interdetta, piuttosto stupita per la domanda, ma anche in generale per la faccia che aveva fatto «Wow, sei persino più rigida quando cerchi di sembrare amichevole». Era un tentativo di sdrammatizzare, certo, ma anche di prendersi qualche secondo per pensare. Come andava il lavoro? ...vuoto totale. Non gli veniva niente da dire se non un piatto “bene”. E poi? Come va il tuo lavoro? La risposta sarebbe stata “bene” a giudicare dalla loquacità della ragazza e alla fine ci sarebbe stata una breve occhiata imbarazzata seguita dal silenzio. Avrebbe preferito uscire per fare la spesa, piuttosto. «Il lavoro…. beh il lavoro» il lavoro«ecco, beh, immagino normale, insomma, bene». Per uno che aveva vinto il torneo del secondo livello di War of warcraft si stava dimostrando piuttosto privo di fantasia. «Voglio dire che per uno che spia individui moralmente discutibili e ruba segreti altrettanto discutibili per mestiere non c’è un modo in cui vada il lavoro. Se dico bene vuol dire che ho infranto la privacy di perfetti sconosciuti più della scorsa settimana, il che non è propriamente… un bene». Si voltò a guardarla con l’espressione più neutrale che avesse, ma sospettava che non fosse riuscito poi a nascondere così bene il suo disagio. «Non è che mi vergogno del mio lavoro, ma sai com’è… tu fai più o meno la stessa cosa. Diresti che questa settimana è andata bene, ma è andata veramente bene? Non lo so, poi cos’è che dovrebbe andare bene, insomma ho mangiato una pizza niente male l’altro ieri, poi ho dormito, ho guadagnato dei soldi…» si voltò a guardare davanti a sé con un’espressione piuttosto sorpresa. «Dio mio, ho una vita deprimente», gli sfuggì per poi tornare immediatamente su Max ”Fuori dalla rete, ovviamente, nella rete sono un gran figo» aggiunse prendendo un sorso dal suo bicchiere prima di ricordarsi che sapore avesse il whiskey. Soffocò un grugnito di disgusto fingendo un’aria vaga ”E tu?» chiese incrociando le braccia per dare ancora più credibilità alla sua espressione interessata, <v>«Come va il tuo lavoro, la tua vita? La vita del tuo pesce rosso?». Se Max avesse continuato a mostrare quella particolare vena sociale avrebbe dovuto ordinare al più presto un libro di autoaiuto per le relazioni.
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    Edited by Data. - 2/11/2018, 13:47
     
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    "S
    e hai così tante aspettative sul cibo, perché non esci più spesso a cercare quello che vuoi? Perché accontentarti del cinese sotto casa tua? Hai... Paura del mondo reale?" La sua domanda era provocatoria, lo si capiva dal tono usato, ma c'era un pizzico di reale curiosità nel suo sguardo, e aiutata dal whisky, non si premurò di nasconderla del tutto.
    Sapeva di persone che perdevano completamente il contatto con la realtà, persone messe peggio di Lucas... Anche se lui non si poteva effettivamente dire integrato nella società, affatto.
    Nonostante lei vivesse appieno la realtà, poteva tutto sommato comprenderlo; Max era una guerriera in un mondo che ogni volta finiva con il sovrastarla, un'emarginata che, chissà per quale motivo, si ostinava a cercare di trovarsi un posto nel mondo, quando magari si stava solamente scavando una fossa.
    "Tsk. Perché, ti sembro amichevole?" replicò a quella battutina, senza offendersi: apparire scorbutica e indifferente era parte del suo piano, della corazza che si era costruita e che intendeva preservare.

    Quanto al netrunner che le sedeva di fronte, invece, magari quel suo modo di fuggire dalla realtà era un ottimo piano per non soccombere. Forse quello più furbo e consapevole era lui.
    La verità stava nel mezzo: lo conosceva troppo poco per poter trarre conclusioni, e lei odiava ritrovarsi nella situazione di "non sapere." Abituata a lottare perennemente per cercare la verità, che fosse nel lavoro o meno, la sua era diventata quasi una sindrome, e anche se si sforzava di tenersi lontana dalle persone e dalle relazioni, quando le capitava di incrociare un'altra persona lungo il cammino, non riusciva ad accettare davvero di non sapere nulla.
    Affogò gran parte di quei pensieri in un'abbondante sorsata di whisky, lasciando che la bevanda sintetica le bruciasse con vigore in gola e nel petto, ma non abbastanza da convincerla a pagare il conto e scappare da quella che poteva trasformarsi nella prima conversazione extra lavorativa che aveva da... mesi?
    Il pensiero la spaventò.

    Quando l'uomo ruppe il silenzio, riempito solamente dalla musica alta ma non abbastanza profonda da riempirle anche il petto e la mente, gliene fu grata... Per poco.
    Strinse le labbra e il bicchiere, imbarazzata davanti a una tale difficoltà d'approccio: lei e Lucas erano esattamente sulla stessa barca, in difficoltà esattamente allo stesso modo.
    Cosa le era saltato in testa di provare a intavolare una conversazione con quello che era un contatto lavorativo, e tale avrebbe dovuto rimanere?
    Si convinse di rispondere con un "Bene, benissimo" alla domanda che si aspettava sarebbe arrivata a breve, ma poi lui cambiò direzione, prese una rotta diversa, inaspettata, lasciandola spiazzata.
    Il ragionamento che la costrinse a seguire non faceva una piega: chi faceva un lavoro come il loro non era che un mercenario al servizio del miglior offerente, e alla fine della giornata quello che portavano a casa erano una mancia più o meno abbondante, una sensazione di disorientamento tipica di un pesce fuor d'acqua, e molta solitudine.
    "Non è una vita particolarmente felice la nostra, eh?" Si incluse in quel ragionamento senza pensarci troppo su, sentendosi un po' più sciolta grazie all'alcool, e in fondo il pensiero di lasciare andare le briglie solo un pochino, perché quella sera, dannazione, era davvero stanca, non era così male.
    "Ma che dovremmo fare? Se spezzi la routine rischi di farti del male. C'è chi ci ha provato, e non è andata a finire bene." Non ammise di star parlando di sé stessa, ma per una mente un minimo perspicace poteva sorgere il dubbio.
    Svuotò il bicchiere e annuì alla cameriera che, forse era il caso a volerlo, la stava osservando mentre ripuliva un paio di tavoli più in là: alzò indice e medio, mimando il numero due, per ordinare altri due whisky perché a bere da sola si sarebbe sentita ancora più triste, poi si massaggiò la fronte, i gomiti ancora poggiati al tavolo.
    "Ho una gatta" rispose così all'ultima domanda, giusto per sottolineare che i pesci rossi non facevano per lei. "Non un gatto vero, ma in fondo è vero. E se la passa meglio di me" si strinse nelle spalle, abbassando lo sguardo sul bicchiere vuoto, sentendo il bruciante desiderio di bere ancora, perché un solo bicchiere di whisky poteva essere letale in una serata condita dal cattivo umore e dal senso di vuoto interiore che l'attanagliavano.
    "Il lavoro sempre la solita roba. Sempre pezzi di merda per cui devo lavorare per guadagnarmi quello che mi serve a tirare avanti. E' una routine poco entusiasmante, a parte quando parte qualche pallottola." E' chiaro faccia un'estrema fatica ad aprirsi, o anche solo a esternare qualcosa della corrente dei suoi pensieri o della persona che è realmente, più profonda e fragile di quello che vuole mostrare. E' chiaro ci sia qualcosa nascosto dietro a una corazza, ma è impossibile dire cosa.
    "Da quanto non uscivi a bere una cosa con qualcuno?" domandò sinceramente, un po' per allontanare l'attenzione da sé, un po' per cercare un pretesto per sentirsi meno disagiata.




    Max Meyer

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    Sebbene non fosse particolarmente snodato Lucas era sgusciato via da quella domanda insidiosa con la classe di un escapologista. Buttarla sul polemico diventava sempre un ottimo svincolo di compatibilità. Per qualche oscura ragione tutti amano parlare di quanto qualcosa faccia schifo, lui personalmente era il più accanito recensista su Yelp, diventato un famoso fomentatore di codardi da schermo. In ogni caso rinfrancato dal nuovo spirito da Houdinì non fece gesti disperati alla cameriera per annullare l’ordine dei whiskey, né inventò una scusa per tagliare la corda. D’altro canto occorreva un piano b, come una pianta in cui riversare il contenuto del primo bicchiere prima che arrivasse il secondo, gli andava bene anche un cespuglio di fiori finti. «Non vorrei fare la parte del pessimista» Figurarsi «ma tutto finisce male prima o poi» ed era lì che il suo entusiasmo da trascinatore delle masse dava il suo meglio. Poggiò i gomiti sul tavolo con la sua espressione più convinta. «Insomma guardati intorno, sono passati migliaia di anni e credi che qualcosa sia andata davvero bene all’umanità?» finse effettivamente di farlo lanciandosi occhiate a destra e sinistra senza prestare davvero attenzione. D’altro canto non c’era un gran che da vedere, sconosciuti rumorosi e tavoli appiccicaticci. Non era esattamente l’esempio più lampante dei raggiungimenti dell’umanità, eppure per Lucas era sufficiente a dimostrare il punto. «Io non credo. Il fatto che vivo in un appartamento e abbia un lavoro mi rende un privilegiato, ma alla fine come per tutti nella mia vita ci saranno alti e bassi, morirò quattro o cinque volte prima di spararmi alla nuca nel mio appartamento, dove il mio cadavere marcirà fin quando il proprietario di casa non sfonderà la porta per riscuotere l’affitto. Non so se qualcuno se la passasse peggio qualche secolo fa, ma personalmente la vedo difficile». Quando si trattava delle gioie della vita Luke si trasformava in un esperto. Un po’ tragico, un po’ teatrale, ma pur sempre convincente. Sottolineò la cosa annuendo lentamente. Si costrinse a mandare giù un altro po’ di whiskey quando si trovò a dover fuorviare un’altra domanda scomoda. «Tanto quanto il tempo trascorso dall’ultima volta che ho sentito di qualcuno con un animale meccanico. Un gatto? Davvero? Cos’è, ti prepari alla tua futura vita da zitella?». Scosse la testa con aria tragica «Non fraintendere, non giudico, io ho un IA a casa che ho chiamato Alfred perché mi fa sentire come Bruce Wayne nella sua batcaverna» se fosse stato pigro, nerd e tragicamente povero, ma in fin dei conti la differenza non era poi così sostanziale. Diede fondo con un certo sforzo al suo bicchiere quando arrivò la cameriera per rifornirli di alcol. Sollevò il bicchiere cercando lo sguardo di Maxine conservando quella scintilla di ironia per nascondere il suo evidente imbarazzo. «Brindiamo» agitò il bicchiere mentre cercava di trovare qualcosa per cui brindare, ma l’eccesso di cinismo di poco prima aveva finito per prosciugare la sua capacità di trovare qualcosa per cui valesse la pena mandare giù del pessimo alcol che non fosse qualche gratificante conquista nelle land di gioco. «No, scherzavo, è stata un’idea stupida, lo ammetto, non so a cosa brindare, sono un essere umano triste».
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    Edited by Data. - 4/11/2018, 22:41
     
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    "N
    o, non tutto finisce male" lo corresse, facendo scivolare lo sguardo sui movimenti delle persone piegate sul bancone con il loro drink in mano e i loro sorrisi più o meno finti stampati in volto. Il tavolo che aveva scelto Lucas era situato in un punto strategico del locale, da lì si poteva osservare chi entrava e chi usciva, chi cercava di allungare una mano verso il fondoschiena della cameriera e chi invece si perdeva con lo sguardo all'interno del proprio bicchiere, cercando una soluzione ai propri problemi. Le piaceva osservare gli altri, spesso la calmava e la aiutava a pensare meno a sé stessa. "Non per chi è abbastanza superficiale e menefreghista da costruirsi una vita basata solamente sul perenne guadagnare e fottere gli altri. Se sei abbastanza egoista da non pensare a chi ti sta intorno, da non lasciarti influenzare, credimi, non ti può andare così male" ragiona, lasciandosi andare all'indietro e rilassando - se così si può dire - la schiena contro alla sedia fatta di metallo freddo tinto di rosso.
    Lo sguardo torna sul volto di Lucas quando l'uomo inizia a dipingere un futuro tetro e pessimista, che si conclude con un bel suicidio tinto di solitudine e tristezza. Alza leggermente le sopracciglia, ed è chiaro che nonostante sia brava a inquadrare le persone, non riesca davvero a trarre conclusioni sul netrunner.
    "Cazzo, questa sì che è una visione pesante" ammise, incurvando l'angolo destro della bocca verso l'alto in un mezzo sorrso che non aveva nulla di allegro. "Sei così disperato da pensare già al suicidio?" gli chiese, inclinando leggermente il capo verso destra, sinceramente incuriosita dalla visione tanto cupa della vita che le era stata esposta. "Forse il problema è l'allungarsi della vita, il tempo che diventa eterno e ti fa pesare ancora di più i momenti di merda. Non saprei, penso che avere una seconda possibilità sia bello, ma averne troppe..." si stringe nelle spalle e scuote il capo. "Ti porta ad agire in modo sconsiderato e a non capire nemmeno per cosa varrebbe la pena vivere."
    Si umettò le labbra, pensierosa, spiando le espressioni di Lucas con l'aria di chi sta rimuginando su qualcosa.
    "Questo corpo è il tuo o è una custodia?" gli chiese alla fine, probabilmente non aspettandosi nemmeno una risposta sincera, o una risposta in generale.

    Ebbe giusto il tempo di sentirsi prendere in giro per via del gatto meccanico che arrivò la cameriera con i loro bicchieri, nuovamente pieni, e quasi automaticamente, con l'aria di chi giudica, abbassò gli occhi sul bicchiere ancora mezzo pieno dell'altro, quasi a volerlo silenziosamente esortare a finire, cosa che lui fece rapidamente e con un certo sforzo, e stavolta il sorrisetto che gli rivolse fu sincero e pungente, come quello di una ragazzina che prende in giro il compagno di banco.
    Sono parentesi di sincerità che tingono la sua aria seria e corrucciata e che ben si adattano al suo viso giovanile e dai tratti dolci, momenti che rendono ancora più difficile inquadrarla a un occhio esterno.
    Dal canto suo non esitò a recuperare il proprio bicchiere, alzandolo leggermente davanti a sé.
    "Ti direi di brindare ad Alfred, ma il fatto che tu abbia una IA e che tu l'abbia chiamata così per sentirti come Batman è abbastanza da sfigati" lo prese in giro, sporgendosi in avanti e facendo cozzare il bicchiere contro quello dell'altro.
    "Brindiamo alla sfiga, allora?"



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    Lucas Hall
    Find what you love, and let it kill you
    Sebbene fosse sostanzialmente un’abitudine quella di trovarsi a fare i conti con una personalità nerd particolarmente sensibile trasformò la stoccata di Max in un’esagerata reazione di offesa. In faccia scimmiottò un’espressione oltraggiata con tanto di mano portata al petto per stringersi intorno alla freccia che gli aveva trafitto in pieno il cuore. «Non è da sfigati, ma diversamente speciali» ribatté con la voce di chi cerca di nascondere lacrime e magone, con dito medio sventolante per precisare il punto. Una scena che avrebbe dovuto imbarazzarlo, perché di certo chiunque fosse in ascolto in quel momento avrebbe cominciato a nutrire dei dubbi sulla sua capacità di abbordare una ragazza. Tuttavia Luke non aveva mai vantato nemmeno un briciolo di dignità e probabilmente non si sarebbe fatto scrupoli nel mettersi in ridicolo nemmeno in seguito, quella grave carenza di amor proprio gli permetteva di fare l’idiota e continuare comunque a guardarsi in faccia davanti lo specchio. Più o meno. La strizza che nascondeva dietro la facciata da simpaticone sarebbe tornata a ricordargli di essere stato un completo idiota non appena fosse tornato a casa. In quel momento, però, in barba al suo istintivo disgusto per gli alcolici, alzò il bicchiere per brindare, ma lo allontanò all’ultimo distante «Eh no» esordì, «Ai diversamente speciali». In quel momento tentò persino l’ardire di un occhiolino, l’ansia di una prestazione tanto da macho mandò in tilt i muscoli delle palpebre che disorientati si contrassero uno dopo l’altro con un risultato indecifrabile. Luke aveva un talento innegabile per quel genere di inettitudini improvvise. Si precipitò a far suonare il suo bicchiere contro quello di Max prima ancora che lei potesse ricambiare, così da poter mandare giù immediatamente il contenuto. In faccia gli si articolò la stessa alternanza di espressioni che hanno i bambini e certi cani quando assaggiano un limone per la prima volta. «Disgustoso», gli uscì d’istinto e subito se ne pentì per via dello sbuffo di un cameriere di passaggio nelle vicinanze. La solita fortuna. «Volevo dire che l’alcol è disgustoso, non il suo whiskey…» cioè, sicuramente ad un palato raffinato avrebbe fatto schifo lo stesso, ma doveva pur dire qualcosa. Tornò su Max con un’aria più affranta del solito. L’entusiasmo improvviso della scenetta teatrale si era spompato tutto d’improvviso. Il genere di altalena emotiva che lo sfiniva. Vagò con lo sguardo per la sala e i presenti per poi soffermarsi sulla cresta colorata di un individuo tutto borchie e maglietta a rete. «In verità no, non è la mia prima custodia, è un clone. Ma è successo tanto tempo fa, ero molto più piccolo. Sono caduto mentre giocavo su un hoverboard, è stata una cosa molto stupida a ripensarci, è il modo in cui sono caduto che mi ha fregato, l’osso del collo si è spezzato e tutto si è spento in un attimo. Poco dopo mi sono risvegliato in una stanza bianca con un corpo nuovo di zecca. Erano passati circa otto mesi, che in verità sono molto pochi. Ma per otto mesi sono stato morto. Molto da duri, eh?» alzò le sopracciglia come se si aspettasse un si ammirato in risposta. «Visto che siamo in vena di confessioni ora tocca a te mandare giù il bicchiere e dirmi com’è che sei finita a fare la galoppina al soldo di mogli gelose, paranoici bastardi e avidi figli di puttana… ho dimenticato qualcuno?».
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  9. pearloflight
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    EWDtfBf
    l
    'idea di trasformare una parola dispregiativa come "sfigati" in una più soffice e dolce come "diversamente speciali" la fece sorridere in modo sinceramente divertito; era un modo per indorare una pillola difficile da mandare giù per molti, ma lei in fondo se n'era fatta una ragione da tempo e aveva imparato ad accettare quello stile di vita vuoto e solitario.
    O meglio, aveva imparato a conviverci, arrendendosi ad esso, quasi come quando sei pieno zeppo di problemi e te ne vai a dormire per non pensarci. Non il modo migliore di affrontare i problemi, ma si era fatta male così tante volte prendendoli di petto, che per un po' non se la sentiva di rischiare.
    Il ciclo di pensieri venne interrotto dal tentativo andato a male di Luke di farle l'occhiolino, un gesto che si concluse con una strizzata goffa degli occhi chiari. Sciolta dall'alcool sintetico rilassò le spalle all'indietro e strinse le labbra tra loro per soffocare una risata che tuttavia almeno in parte le sfuggì, soffocata dalla musica alta, ma palese davanti allo sguardo dell'altro.
    "Da quanto tempo non esci con una donna, Lucas? Per davvero" lo prese in giro, pungente come suo solito, dopo aver buttato giù la prima abbondante sorsata di whisky, gli occhi che spiavano l'atto coraggioso del netrunner di ingerire l'intero contenuto del bicchiere in un colpo solo, con la conseguente reazione che ci si aspetterebbe da un moccioso che assaggia qualcosa di forte per la prima volta.
    Lei in quegli ultimi mesi bui si era abbandonata all'uso non troppo saltuario di alcolici sintetici un po' troppe volte, e riusciva a mandare giù anche il peggior whisky in circolazione con una certa dignità che l'aiutava a mantenere quell'aria da dura che le faceva comodo, ma il suo corpo minuto iniziava a inviarle segnali per farle capire che non avrebbe dovuto cedere a un terzo giro; le luci rosse sembravano essersi fatte più vive, la musica più distorta e a tratti ovattata, il volto di Lucas improvvisamente più familiare e simpatico. Questo ultimo punto era quello che temeva di più e che di solito la spingeva a prendersi una sbronza in totale solitudine, ma ormai erano in ballo, e se fosse stata fortunata, il netrunner si sarebbe ubriacato prima di lei.
    Ne era certa, soprattutto guardando il modo in cui cadeva in quella gaffe da persone disattente con il cameriere: un totale disastro.
    "Sei davvero una pippa" un'altra punzecchiata, un altro sorso, e poi si ritrovò semplicemente ad ascoltare il racconto sulla custodia dell'altro con la schiena rilassata contro alla sedia e l'espressione più rilassata di quando era arrivata, almeno.

    Di storie sulle custodie ne aveva davvero sentite tante, ma era la prima volta che qualcuno le raccontava di essersi distrutto in un modo così stupido, ma in fondo da quel tizio c'era da aspettarsi una cosa del genere e anche di peggio.
    "Quanti anni avevi?" chiese, scuotendo leggermente il bicchiere per smuovere il liquido dorato al suo interno, distrattamente. "Sì, è stato un modo abbastanza stupido di distruggerti la custodia, ma sempre meglio che farti crivellare di pallottole o cose del genere" si strinse nelle spalle, citando solo uno dei casi più comuni almeno nell'ambiente in cui aveva sempre lavorato o bazzicato lei. "E sei anche stato fortunato a poterti permettere un clone. Pensa ritrovarti nel corpo di un vecchio flaccido, o di un bambino ciccione" lo fece ragionare, sbattendogli sul tavolo la realtà nuda e cruda; quando ci pensava, si rendeva conto di quanto sbagliato fosse diventato il mondo.
    Nonostante l'alcool che le stava alleggerendo il corpo e la mente, le sue spalle si irrigidirono istintivamente alla domanda personale che le pose l'uomo.
    Osservò il bicchiere per un istante, poi lo avvicinò alle labbra e lo svuotò, lasciando che il liquido all'interno le bruciasse in gola e nel petto, sperando facesse effetto in fretta.
    Ma non dovevano parlare di lavoro, non si erano visti per questo?
    "Non è una storia interessante, la mia" cercò di deviare l'attenzione su altro, eludendo il discorso, ma sapeva che a quel punto non poteva davvero evitarlo. Per cui si ritrovò a mentire.
    "Mio padre era bodyguard di un locale, per cui mi ha insegnato un po' come usare una pistola e difendermi, sai no?" spostò lo sguardo sulla cameriera, sentendo il calore salirle dalla schiena al collo, alle guance. O ordinava un altro bicchiere per entrambi, o mandava a fanculo Lucas e se ne andava senza un'apparente ragione di punto in bianco: odiava dire cazzate, e odiava quando gli altri gliene dicevano, e si capiva.
    "Solo che io ho una mente più fine di quella di mio padre e quindi ho iniziato a fare questo lavoro per portarmi a casa la pagnotta."
    Non lo guardò nemmeno negli occhi mentre terminava quel racconto campato per aria e per nulla credibile: non si era nemmeno impegnata a trovare scuse decenti.
    La cameriera che li aveva serviti le offrì un sorriso furbo, quello di chi sa che porterà ulteriore guadagno al locale dove lavora, e lei si limitò ad annuire: terzo giro in arrivo, e nemmeno lo aveva chiesto davvero.
    Quando si voltò verso Lucas, lo fece alzando gli occhi al soffitto.
    "Eddai, sei un bravo netrunner, davvero non hai già cercato informazioni su di me? Non hai trovato nulla o semplicemente sei più gentleman di quello che vuoi sembrare?"
    Era il suo modo di ammettere di avergli servito un piatto d'argento carico di palle senza senso, e anche un modo per metterlo alla prova. Sapeva che, se avesse voluto, l'altro sarebbe riuscito a risalire a informazioni utili su di lei: meglio che apprendesse qualcosa da ubriaco, in modo da dimenticare tutto la mattina dopo, no?



    Max Meyer

    umana, mercenaria

    [x] scheda - [x] memo - starring: natalie portman
    code role © Akicch; - NON COPIARE - WANT YOUR OWN? GET IT
     
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  10. Data.
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    non odiarmiiiiiih mammamia ci ho messo una vita, troppo da fare scusami, sono una cacchetta



    Net Runner ricercato II livello Etero 32 anni
    Bad taste creates many more millionaires than good taste
    Lucas Hall
    Find what you love, and let it kill you
    L’invidiabile pseudonimo di ”pippa” lo lasciò giusto per un attimo senza parole per poi spingerlo in una risata che lo fece quasi strozzare di nuovo, questa volta con la sua stessa saliva. Iniziava ad esserci un disdicevole scambio di verità tra loro che minacciava di metterlo seriamente in ridicolo. Tuttavia, sebbene lì per lì ricevere stoccate e frecciatine potesse sminuire la sua figura da mago della rete, allo stesso tempo lo faceva sentire anche stranamente più vicino alla sua parte da umano, quella che non smaniava all’idea di tornare sulla sua sedia davanti la scrivania. Aveva il cyberdeck nella tasca interna della giacca e il suo peso lo confortava, come l’idea di poter andare un attimo in bagno e controllare tutti gli aggiornamenti sulla rete e in particolare le land di gioco, eppure Max era un piacevole diversivo alla sua personalissima droga da netrunner. Il momento confessione personale lo mise inevitabilmente a dura prova, eppure anche quello fu un interessante esperimento sociale per la sua atrofica esperienza interrelazionale. Non sapeva se essere effettivamente serio affrontando quell’argomento e non così ironico, o magari temere di aver esagerato buttando lì il pezzo da novanta ”io sono morto come un cretino” proprio durante una serata leggera al bar, per non parlare della parte ben poco lusinghiera del ”papà mi ha comprato un corpo nuovo” quando molte persone pagavano le conseguenze con un corpo completamente diverso dal proprio. Forse era quello che gli era sempre mancato: subire delle conseguenze. D’altronde se non avesse preso tutto così poco sul serio molte delle cose che aveva fatto non le avrebbe fatte, come far scappare suo fratello dall’esercito e nasconderne le tracce. Quell’esperienza in particolare lo rendeva molto fiero di sé. «Avevo quattordici anni» rispose prontamente, lo ricordava alla perfezione, da quel momento era come se avesse smesso di crescere. Non commentò la parte sul fatto che fosse un privilegiato, lo sapeva bene e a dire la verità lo irritava, non perché gli dispiacesse essere stato tanto fortunato, avere il corpo di un ragazzino grasso era una possibilità a cui preferiva non pensare, ma in fondo sentiva che essere stato tanto ricco era in qualche modo sbagliato. Max liquidò il racconto della sua vita in poche frasi, buttate lì rapidamente per costruire una storia verosimile, ma poi nemmeno tanto elaborata. Luke annuì distrattamente cercando di sembrare il più disinvolto possibile. Prese il nuovo bicchiere di whiskey e lo fece girare piano come per mescolare il contenuto per osservare i movimenti sulla superficie ambrata. La voce di Max lo colse di sorpresa per l’imbarazzo che lasciava trasparire, anche lei doveva aver provato a sembrare disinvolta, aveva un certo radar per quel genere di cose. La osservò di sottecchi, indeciso, per lui la privacy personale era un concetto relativo dal momento che ogni cosa che si voleva scoprire su qualcuno la si poteva ripescare da internet senza troppi problemi. La privacy era un concetto nebuloso senza precisi limiti fisici, tutto era registrato in qualche modo da qualche sistema, quello che rimaneva era di dubbio interesse, o praticamente nessuno per quanto riguardava la vita di Lucas, ma d’altronde lui sapeva come nascondere le sue tracce nella rete, era un fantasma virtuale più che un essere umano con una dimensione personale. Per questa ragione non si era fatto remore ad indagare sul conto di una persona per cui d’altronde doveva lavorare, non avrebbe potuto fidarsi altrimenti. Eppure una parte di lui in quel momento si sentiva in colpa. «Beh… insomma, il minimo indispensabile per sapere con chi stessi lavorando» tuttavia sapeva di provarci un po’ gusto nell’infilarsi nella vita degli altri, scoprire debolezze e peccatucci. «So che per un periodo hai lavorato nella polizia» sapeva anche il suo numero d’identificazione, la sezione del dipartimento in cui era stata affidata e l’esatta posizione della sua scrivania grazie a qualche vecchio filmato di sicurezza, ma d’altronde sapeva anche il suo codice fiscale e l’ora e il giorno in cui era nata, i nomi dei suoi genitori e se gli fosse interessato anche quello dei suoi nonni. «Ma non so bene il motivo per cui te ne sei andata, o meglio lavorare per la polizia dev’essere una gran rottura di palle, avere un superiore, qualcuno a cui rendere conto, degli orari di lavoro. Io non so come facciano le persone a lavorare in questo modo. Facendo le cose per conto tuo puoi fare quello che vuoi quando vuoi. E poi ti si legge in faccia che sei una dura a cui non piace dover obbedire a qualcuno, io dico che il prossimo brindisi lo possiamo fare per il nostro lavoro da liberi professionisti».
    ✕ schema role by psiche
     
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9 replies since 18/10/2018, 22:57   108 views
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