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syd & Fifi

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    Sydney Locke
    But this country, mm. It's more than just trees and rivers. It's a promise. An ancient contract 'neath these new landscapes and particulars, but it's terms are everlasting and made payable to the righteous. What do you say to that, sir? Do you agree? Yes or no? That this is paradise.

    05/08/2550
    Bay City
    I livello
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    Il vicolo puzzava di urina ed elettricità. Non aveva mai notato che l’elettricità avesse un odore. Un odore dolciastro e metallico, come quello del sangue versato. L’aria viziata del primo livello era completamente imbevuta di quell’aroma che gli rivoltava le viscere. Il ronzio dei generatori impilati sotto le finestre di ogni microappartamento facevano vibrare l’aria che oscillava visibilmente sotto i lampioni umidi e oscurati dallo smog. Ormai gli facevano male le gambe per quanto quel dannato deviante s’era fatto rincorrere, ma la caccia era terminata. Lui era lì, nascosto nelle ombre di quel vicolo come un viscido lurido verme. «Fatti vedere, stupida macchina!» imprecò con le braccia tese davanti a sé e le dita sudaticce avvinghiate intorno al calcio della pistola. Sarebbe bastato un attimo di distrazione, una disattenzione e l’androide le sarebbe potuto saltare alla gola e allora poteva dire addio ai suoi amati battiti cardiaci. Non c’era modo di competere con la forza e l’agilità di un androide. «Sei troppo lenta e debole, umana» la derise una voce che la fece sobbalzare e guardarsi intorno. La voce acquistò un volto e Syd si ritrovò per la prima volta di fronte a quello sguardo cristallino e tagliente, con le pupille così blu da sembrare liquide. Il volto era spigoloso, ma dalla fisionomia cordiale. Non sia mai che un androide sembri minaccioso, sarebbe una scelta controproducente in termini di vendite. Mentalità da megacorporazioni. Idioti. Il suo interlocutore in effetti aveva proprio i lineamenti da seduttore dei film di serie B, uno di quegli uomini che le signorine di buona famiglia si giravano per guardare di sottecchi, sentendo un calore tra le gambe. «Noi siamo il futuro» disse il deviante, sorridendo come fossero buoni amici, «non puoi fermare il progresso». Quella voce, così umana, le faceva saltare i nervi. Sparò il colpo prima ancora che l’androide potesse concepire che quel corpo così esile avesse ancora le energie per premere il grilletto. Il proiettile lo dovette colpire di striscio perchè se la diede a gambe lasciandosi dietro una scia di sangue blu che il detector scaricato nell’ONI di Syd faceva lampeggiare come luci di natale. Seguì le gocce di sangue fino all’ennesima svolta dove improvvisamente spariva. Alzò gli occhi alla coltre umida che quel giorno circondava il primo e il secondo livello. Il cielo era invisibile da lì e la penombra livida che l’umidità gettava sui fianchi dei palazzi rendeva impossibile vederci chiaramente. Tuttavia niente si muoveva. Se l’androide non si era arrampicato allora doveva essere entrato da qualche parte perché il vicolo era a fondo cieco, chiuso dal fianco di un grattacielo. Tentò di aprire ogni porta e porticina, fino all’esasperazione, arrivata all’ultima la scalciò con violenza, quella si aprì con il clangore metallico di un chiavistello spezzato, sbatté contro il muro e vi rimbalzò contro. Syd si piantò all’ingresso puntando la pkd davanti a sé, «Vieni fuori, stronzo!».
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    « ...cosa c'è? » pur se la maschera beccuta priva la vista delle espressioni della faccia che ci è sotto, basta il tono di voce della domanda per capire che ha alzato le sopracciglia. « No, niente... » interpellato, l'uomo semidisteso su quella che pare una poltrona da dentista giusto-un-po'-usurata si stringe nelle spalle, facendo il vago, per poi aggiungere invece subito dopo « Mi chiedevo solo se 'sta musica qua l'hai messa pe' sfotte' o pe' incoraggiamme » alza un dito, che fa mezzo roteare, come se potesse indicare le note di "I will survive" che riempiono la stanza dentro cui si trovano. A quella vile insinuazione, il medico mascherato si porta con grande enfasi la mano al petto e stringe le dita guantate sulla stoffa della maglietta, proprio sopra al cuore (e sopra alla parola "cowboy" della scritta "Save a horse, ride a cowboy") « CosadiciPhil!! » poi, molto meno scandalizzato « Mi piace a basta, incita il mio flusso creativo » dice, agitando a mezz'aria un porta-aghi senza ago « Flusso creativo » stavolta è Phil ad alzare un sopracciglio, ma il medico gesticola qualcosa a caso e liquida la questione, andando stavolta a rivolgersi al braccio meccanico alle sue spalle, sul quale qualcuno (lui) ha infilato un abitino da infermiera di quelli corti bianchi con la croce sul petto, da maschera di halloween, e gli si rivolge proprio come fosse un'infermiera « Roxy, ago da sutura, prego » distende il braccio, la mano aperta pronta a ricevere l'ago. Il meccanismo cigola profusamente, ma l'ago glielo fa avere, anche già infilato. Che efficienza! E pensare che hanno ritirato il modello dal mercato solo per qualche piccolo incidente di strumenti operatori taglienti lanciati con un po' troppa enfasi. « Bene, come al solito farà un po' male, ma cerca di essere un ometto coraggioso. Hai bevuto tutto il tuo whiskey, sì? » Sì, il criminale con mezza faccia robotica ed il grugno da stupratore ha bevuto tutto il suo whiskey e può apprestarsi a veder ricucito manualmente quel brutto sgarro sulla protesi del braccio, precisamente sopra il deltoide, dove c'è tatuato "Jessica" sbarrato in un cuore. « Se solo ti fossi fatto sparare domani avresti avuto un trattamento coi fiocchi! Chè domattina mi torna riparato il laser dermico, invece così ti buscherai una beeella cicatrice che però fa sempre colpo sulle fanciulle, eh? » Forse sta ammiccando, la maschera e gli occhialoni non permettono di appurarlo. « Ok, vado » annuncia infine, ancheggiando a ritmo con la musica fino ad accostarsi al paziente. SBAM!!
    La porta d'ingresso s'apre improvvisamente e con gran fracasso, facendo trasalire entrambi, ma se il paziente trasalendo non ha fatto danno, il medico invece ha finito con l'infilzare bruscamente e malamente l'ago da sutura dentro la carne sintetica ma altamente sensibile del braccio altrui, strappandogli un grugnito di dolore e facendogli compiere d'istinto uno scatto in avanti con l'altro braccio, fino a stringere la mano attorno al collo del medico in maschera, che lascia andare un gorgoglio sorpreso. Passato l'attimo di allarme, lui picchietta con la mano libera contro il braccio che l'ha assalito « Ehm, scusa, potresti...? » La presa s'allenta, ma non del tutto, però abbastanza da permettergli di girarsi verso la porta appena sfondata e occhieggiare la ragazza sulla soglia. « Ehm, ciao, ehi ciao! » La stanza che funge da ambulatorio è più che altro uno scantinato con ingresso sulla strada, una roba tutta di cemento senza finestre e illuminata solo da lunghi tubi al neon sul soffitto, che crepitano, ma l'ambiente di per sè è piuttosto ampio, occupato solamente da una zona con un tavolaccio e sedie di metallo spaiate, librerie e credenze traboccanti cianfrusaglie, un divano sfondato e questa sottospecie di sedia operatoria piantata da una parte. Non certo un ambiente sterile e disinfettato. L'umida è così forte che le pareti gocciolano come se sudassero, ed una ventola compie il suo inutile lavoro almeno silenziosamente. « Di solito la mia presenza non viene richiesta in modo così violento, ma potrei chiudere un occhio per te♥ » dalla voce si capisce che sta sorridendo. Tutt'altro che a disagio nonostante abbia una mano alla gola, si limita a girarsi senza fare in modo di toglierla, mentre anche il suo paziente guarda la nuova arrivata, con occhio però molto più guardingo. Non sembra una poliziotta, quindi apposto. Forse.
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    L’incredibile inevitabile verità che brulicava nel sottobosco di Bay City riguardava la capacità dei suoi abitanti di trovare sempre un modo per sopravvivere. Qualità che a volte combaciava perfettamente con la sua innata abilità di autodistruzione, una forma di sabotaggio ricercata nelle sue forme più infime e contraddittorie. Un paradosso che legava Syd a quel mondo grottesco e ridicolo, ma in qualche maniera pervaso di voglia di vivere e morire in una volta sola. C’erano delle circostanze particolari in cui la percezione di vivere sul filo del rasoio tra follia e sopravvivenza era più vivida che in altri momenti. Una di quelle circostanze era la situazione che le si era parata davanti superata la soglia di ciò che con tutta probabilità una volta era un magazzino abbandonato, ma che ora - illuminato dalla luce di neon malmessi - appariva tutt’altro che disabitato. Il primo pensiero che tentò di associare la situazione ad una spiegazione plausibile fu una strana fantasia sadomaso in perfetto stile dominatore\succube, che il travestimento da becchino di quello che era palesemente il succube rendeva ancora più raccapricciante. Le parole dello sconosciuto sotto la maschera le fecero intuire quanto ardentemente desiderasse piantargli una pallottola in mezzo agli occhi, d’altro canto il tipo grosso con la faccia squartata che era mezzo disteso sul lettino era decisamente la minaccia più importante. Come avrebbe reagito se gli avesse ucciso il toy boy? Puntò la canna della pistola prima contro tizio sul lettino poi verso il travestito, indecisa sul da farsi. Darsela a gambe? Fu in quel momento che le tornò alla mente il deviante che le era sfuggito dalle mani per un pelo, forse era lì da qualche parte. Lanciò rapidamente un’occhiata intorno a sé, a giudicare dall’ambiente umido e dai macchinari ormai vecchi e arrugginiti, ma ancora cigolanti nel tentativo disperato di portare a termine il loro lavoro avrebbe detto che quel posto era qualcosa di più di un semplice luogo di incontri per pazzi masochisti. Lo sguardò inciampò in quel momento sul vestitino da cameriera attaccato in malomodo ad una delle macchine, sotto il tessuto gli spigoli e le deformità della struttura meccanica sembravano i bozzi di una vecchia domestica che aveva perso il senso del limite nel sostituire parti del corpo con innesti meccanici. Piuttosto inquietante. Quei due potevano benissimo essere dei simpatizzanti per la causa dei sintetici. D’altronde c’erano tutti gli indizi. Era meglio cercare di stare al gioco per non rischiare che le cose finissero con un collo spezzato, il suo. «Amo gli ingressi ad effetto», ammiccò un sorriso all’angolo delle labbra prima di abbassare la pistola, ma senza arrischiarsi a rinfoderarla. «Spero di non aver interrotto la vostra…» come definirlo? Serviva qualcosa di cordiale e assolutamente vago, «asfissia erotica?». Bene, ottimo modo per farsi uccidere. «Non che abbia niente contro l’asfissia erotica, io non la pratico, ma hey di questi tempi farsi venire un orgasmo non è facile come una volta, cambiare custodia sballa la libido, magari prima ti piaceva la posizione del missionario e dopo che sei morto ti piace farti soffocare da una mano robotica. Sono gusti, io non giudico». La situazione cominciava a riscaldarsi, nonostante lì sotto l’umidità facesse rabbrividire, e come al solito era lei ad essersi spinta fino al puto di non ritorno, di lì in poi c’erano due possibilità morire… e morire. «Comunque posso tornare più tardi… si, forse è meglio che me ne vada, così potete continuare e io fingerò di non aver visto niente», cominciò arretrando lentamente, ma nel modo più vago e indifferente possibile.
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    No, un momento, qui qualcuno è giunto a conclusioni affrettate e terribilmente, terribilmente errate. « Cos─ No, no, no! NO! Madamoiselle, non è assolutamente come pensi tu! » l'uomo in maschera ci tiene a correggerla subito, gesticolando profusamente con la mano libera, mentre l'altra continua a dare colpetti a quella del paziente, ancora attorno al suo collo e chiara fonte del fraintendimento. Quello che sembra aver agitato parecchio il medico invece lascia del tutto indifferente l'omaccione sul sedile, probabilmente avvezzo a sentirsi dire cose ben peggiori dell'accusa di trovare sessualmente eccitante strozzare un tizio vestito da corvaccio, tant'è che si limita a occhieggiare pigramente la situazione, ben più tranquillo ora che la ragazza ha abbassato l'arma. « Però accidenti, ha proprio ragione, non è vero? Di questi tempi è proprio diventato più difficile avere un orgasmo come si deve » questa considerazione andava evidentemente fatta, considerato che malgrado la situazione s'è preso la briga di farla, pure cercando appoggio dal suo paziente, che in effetti annuisce vago: si trovano tutti d'accordo, insomma, che menti affini! « E no no no, non andare, non hai interrotto proprio null─ cioè, qualcosa sì, stavo ricucendo il mio amico qua, ma posso benissimo continuare a farlo mentre converso con una sì amabile signorina! » con un gesto ampio del braccio la indica, ammiccando pure leggermente con la testa. « Sì, insomma, sempre che qualcuno qui si decida a mollarmi... » occhiataccia all'omaccione, che ricambia con disinteresse, ma dopo qualche momento acconsente a mollare la presa. « grazie. » Finalmente libero, il medico in maschera incespica un poco, prima di rimettersi ben dritto in tutta la sua notevole altezza allampanata e compiere un paio di passi verso la ragazza. « Avevi bisogno di qualcosa, cara? » il tono è mellifluo e superfluamente basso, come se stesse cercando di imitare la voce di qualche tenebroso attore sexy per qualche motivo non chiaro, ma forse impuntabile all'aspetto grazioso della giovane. « Cercavi qualcosa o... qualcuno anzi, a giudicare da quanto detto appena entrata? Allora questo è il posto giusto! » le fa cenno di procedere, forza, dicci tutto!
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    La parlata forbita e il vestito di Halloween davano di quell’individuo un’immagine ambigua, indefinibile. L’espressione che alla penombra doveva essersi dipinta sulla faccia di Syd probabilmente spiegava alla perfezione lo sconcerto che provava mentre i suoi tentativi di capirci qualcosa fallivano miserabilmente. Sopracciglio inarcato, labbra dischiuse e sguardo attento erano i tratti che tentò in ogni caso di ammorbidire in un atteggiamento di maggiore intesa. Si parlava di orgasmi, quindi l’argomento rientrava tra le sue specifiche e quelle in generale di un qualsiasi essere umano, ma lì, sotto la maschera, poteva benissimo nascondersi il sintetico che inseguiva. Poteva aver messo su un bel teatrino con il suo compare di latta solo per spingerla ad andarsene in fretta, se ne potevano vedere di tutti i colori con i sintetici. In generale gli androidi erano particolarmente idioti quando si trattava di fare qualcosa di “creativo” e fino a quel momento l’individuo in tunica sembrava più una caricatura di un essere umano che un uomo vero. Alla fine si decise che era il caso di andare più affondo in quella storia. ”Beh io sono…” cominciò e intanto fece qualche passo in avanti chiudendo la porta dietro di sé. Benissimo, era dentro. Ma dentro cosa? ”Sono qui per…”. Allungò il collo per sbirciare i movimenti con cui l’individuo mascherato ricuciva una lacerazione cutanea alquanto maldestra. Poteva aver scaricato i dati delle operazioni su internet, niente di eccezionale per un androide. L’ipotesi era avvalorata dalla celerità e dalla precisione dei suoi gesti, decisamente inusuale per un medico da scantinato. L’idea che fosse un androide era sempre più convincente. Se anche non fosse stato il suo androide, cioè quello a cui stava dando la caccia, avrebbe potuto ricavare comunque un bel gruzzoletto da un sintetico che si divertiva a fare il piccolo chirurgo sugli umani senza un’adeguata certificazione, o un permesso da parte di un vero medico. ”Sono qui perché… il mio vecchio medico è morto, brutta storia. E…. non si è ancora abituato alla sua nuova custodia quindi non vorrei che al prossimo taglietto da sistemare mi ritrovi sfregiata». Per essere certi che non fosse un umano bisognava fare il test di voght-kampff, ma non c’era sulla faccia della terra nessuna ragione per cui potesse attaccare sulla faccia di qualcuno un patch di elettrodi senza dirgli che sospettava della sua umanità, né tantomeno poteva osservare le sue contrazioni pupillari da una vicinanza sufficiente senza trovarsi in circostanze equivoche. E poi se anche ci fosse stato un modo non sapeva come spingerlo a togliersi la maschera. Hai dei begli occhi, me li fai vedere meglio? Non avrebbe funzionato, persino con un replicante. ”Però sai devo conoscere la persona che dovrà rimettermi in piedi la prossima volta che mi rompo qualcosa, non voglio rischiare di trovarmi con un organo in meno, sai come funziona”. Poteva funzionare, adesso toccava fargli qualche domanda e cercare di affidarsi alla sua conoscenza dei tempi di reazione per cercare anche solo di intuire se fosse un organico o no. ”Quindi vorrei farti qualche domanda… e sapere come ti chiami, che faccia hai… queste cose qui”.
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    La circospezione dovrebbe essere di casa qui al primo livello, eppure di fronte ad una giovane fanciulla piacente e dai modi perentori, Firenze non riesce a pensare in maniera razionale, è proprio il suo punto debole, quindi perchè sospettare di lei e delle sue intenzioni, se ha per le mani la possibilità di approfondire la conoscenza e magari anche ampliare la sua cerchia di pazienti con una graziosa nuova aggiunta? Una boccata d'aria fresca tra l'altro, in mezzo a criminali con grugni poco attraenti. Ciò in effetti è curioso e persino lui lo nota: che ci fa da queste parti una come lei? Certo nulla gli assicura che dietro quelle fattezze femminili non si celi un energumeno con una notevole fortuna per le custodie nuove, ma lui è un tipo molto ottimista, e poi ha occhio per certe cose, lei non ha decisamente le movenze caratteristiche di un uomo in un corpo di donna. « Oh certo certo » risponde quindi, protendendosi verso la sconosciuta, profondamente interessato a portare a buon fine quello che si prospetta essere un accordo estremamente positivo « son problemi, questi! In che mondo viviamo! » e poi anche « Non sia mai che si metta a rischio il tuo graziosissimo viso o preziosissimo corpo, no! Non si può proprio permettere uno scempio simile da parte di mani inesperte! » si volta verso il paziente, ancora seduto a contemplare confuso la scena, in cerca di appoggio al suo discorso accalorato, ma trovando solo uno sguardo vacuo e una piega delle sopracciglia vagamente preoccupante: sta esaurendo la pazienza, l'istinto di sopravvivenza del medico beccuto fiuta il pericolo, per cui torna a dedicargli brevemente attenzione, accostandosi alla sedia operatoria, pur continuando a parlare alla ragazza. « Ma certo, chiedi pure, cherie, solo scusami nel frattempo devo finire qua, ti spiace? » e rimette mano alla ferita, recuperando rapidamente il punto dove era rimasto.
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    Aveva funzionato. Bizzarro. «Perfetto!» esclamò con voce più alta di quanto avrebbe dovuto. «Insomma… in poche parole è qui che lavori, eh?». Temporeggiava e intanto riprese a gironzolare nella speranza di sembrare il più naturale possibile. «E’ molto… hem… pittoresco». Troppo? Ma era praticamente impossibile essere semplicemente disinvolta con un interlocutore vestito in quel modo. Chissà che diavolo gli era passato in testa quando aveva scelto quella maschera. «Non pensare al fatto che le mie domande saranno un po’… strane» aggiunse avvicinandosi all’altro capo del lettino su cui operava il tecnomedico. In quella posizione privilegiata ebbe modo di scoprire che gli stivali della vittima paziente avevano sulla punta disegnato un simpatico teschio. «Mi serve sapere che tipo sei, sai, non è semplice per me fidarmi di un nuovo medico». L’ironia stava nel fatto che dopo il pediatra aveva semplicemente smesso di andare dal medico. Aveva trafugato una penna dermica e tutto sommato era sempre riuscita a riattopparsi da osla. Questo perché le uniche volte in cui si era ferita gravemente la custodia era morta prima di arrivare in ospedale. A pensarci era una qualità, portava sempre a termine il lavoro. «Allora, prima domanda: sei mmh ad una festa, tutti gli ospiti si stanno divertendo, ci sono le luci stroboscopiche, il dj che mette la musica che ti piace, tutto perfetto» a quel punto incrociò i gomiti sul lettino sporgendosi appena per intravedere oltre la maschera del tecnomedico i suoi occhi. «Ad un certo punto arriva il buffet, ci sono diverse cose prelibate, come caviale, ostriche crude, carne di cane bollito e… quant’altro. Cosa mangi?». Serviva misurare la sua reazione emotiva, ma calcolando i tempi e magari con un po’ di fortuna i movimenti corneali sarebbe potuto tornare utile comunque.
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    "Bizzarro" "pittoresco"... sì, effettivamente la ragazza lo sta proprio inquadrando bene. Dipenderà dal particolare acume da Blade Runner o è solo Firenze che è così chiaramente ed immediatamente identificabile? Certo lui non si tira indietro dinanzi la prospettiva di dirle cose su di sè, quindi basterà solo saper cogliere gli indizi, no? E iniziamo con la prima domanda, effettivamente strana proprio come l'aveva preannunciata, premessa alla quale il medico beccuto aveva riso, incitandola a fargliele sentire, queste domande strane, per cui quando la prima viene presentata in tutta la sua stranezza, lui emette un fischio e ride di nuovo « Effettivamente è proprio strana come domanda! » commenta, mentre il filo da sutura viene tirato sull'ultimo punto e poi tagliato. Un lavoro rapido e inaspettatamente preciso, considerate le premesse. Il paziente piega e flette il braccio artificiale come a voler testare la resistenza dei punti, frattanto che Firenze invece si mette a riflettere sulla domanda, finendo a spostare la testa dalla visuale della ragazza per dare al paziente più spazio e anche per prendersi la punta del becco tra le dita guantate e così riflettere. « La carne di cane bollita può essere considerata una prelibatezza? Sembra più una pietanza da Primo Livello... sai quelle bettole che s'affacciano sulla strada, quelle dove ti arrampichi su sgabelli altissimi e ti scodellano nel piatto della roba fumante non meglio identificata? » Il paziente qua fa un sorrisetto di chi la sa lunga. « Ecco, Phil ha capito benissimo che intendo! » lo indica e ride, il medico in maschera, per poi spostarsi per permettergli di alzarsi dal sedile. Una pacca sulla spalla e qualcosa che passa di mano velocemente, poi il tipo esce dal locale. L'attenzione torna tutta per la ragazza « Allora! » allarga le braccia e la sua voce sorride « Perdona l'interruzione, cosa stavamo dicendo? Ah già! Uhm, per rispondere alla tua domanda: no, non sono un replicante. E forse per conoscerci meglio sarebbe meglio partire dal nome, che dici? » si sfila i guanti e le tende una mano anonima, con le dita lunghe e magre, da pianista « Io sono Firenze Alighieri e se te lo stessi chiedendo no, non è un nome falso, ho solo genitori spiritosi. Tu invece sei? » Ultra amichevole nonostante la naturalezza con cui ha trattato la faccenda della domanda da test Voight-Kampff.
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    Il voight kampff iniziava ad essere roba d’antiquariato. In verità lo era già da duecento anni, ma la cosa ormai era diventata imbarazzante. Non che Syd avesse mai avuto davvero qualche speranza con quel tentativo ridicolo, era un tiro lungo persino per lei che una volta aveva sottoposto il test facendolo passare per un’indagine sulla soddisfazione del servizio telefonico. Ma d’altronde era più facile mettere nel sacco un robot con situazioni apparentemente banali come quella piuttosto che un assiduo frequentatore di bettole del primo livello. «Non so quanti tipi di carne abbiano fatto passare per gulasch di pollo, ogni volta ha un sapore diverso» commentò mentre il dottore completava il lavoro sotto il suo sguardo vigile. Doveva somigliare ad una di quelle faine in piena notte con gli occhi illuminati dalle luci delle telecamere di qualche documentarista. Quando il lavoro fu concluso e il tecnomedico ebbe terminato avvicinandosi in tutta la sua spavalderia per un secondo si ritrovò a indietreggiare. «E va bene, mi hai beccata» ammise, solo alla fine ovviamente, quando ormai era palese che fosse stata smascherata senza nemmeno la fatica di spenderci un attimo di riflessione. Era bizzarro pensare che se solo ci avesse impiegato di più di qualche secondo il tizio sotto la maschera avrebbe avuto molte più speranze di esserle simpatico, il che equivaleva a dire che usciva solo con chi falliva il test delle reazioni umane. Non deponeva a favore delle sue passate relazioni. «Immagino sia una delle grandi ambiguità del secolo confondere umani e androidi» concluse come fosse una perla di saggezza universale e non un bieco tentativo di scaricare sull’umanità un suo errore di giudizio. Non le piaceva sbagliare. Allungò una mano per stringere quella pallida del tecnomedico. «Syd» aggiunse con un sorriso istintivo. Con la coda dell’occhio continuò a seguire il caro vecchio Phil, giusto per essere sicura di tenere tutto sotto controllo e soddisfare la sua patologica diffidenza verso i cyborg e in generale tutto ciò che è sintetico. «Certo non mi ha aiutata l’idea che tu indossi una maschera», si avvicinò di più sbattendo le ciglia così languidamente da sembrare una di quelle rivisitazioni politically correct di Betty Boop. «Hai per caso qualcosa da nascondere?» la domanda aveva lo scopo di sondare il territorio, magari… Firenze… nascondeva un androide in cantina. L’ipotesi che fosse un simpatizzante era ancora in piedi, anche questo era azzardato, ma ormai le rimaneva quello o l’idea di aver perso un mucchio di soldi per il suo sintetico in fuga, andato ormai chissà dove. «Magari aspettiamo che l’uomo di latta esca a cercarsi un cervello da umano e mi dici di che si tratta?».
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    Il tipo non si mostra particolarmente colpito dall'ammissione di colpevolezza altrui, forse perchè la reputava fin troppo evidente, in compenso non esita a rilasciare una risata breve ma allegra in commento, vagamente fatta rimbombare dal becco cavo della maschera « Se ti consola è accaduto non perchè tu non sia una graziosa fanciulla dotata di intelletto e rapidità di adattamento alle situazioni, ma solo perchè il sottoscritto è estremamente brillante! » si punta il pollice riverso contro il petto spinto all'infuori, con una sfacciataggine che potrebbe essere letta come ironica, ma anche no. Si limita ad annuire alla perla di saggezza (oltre a sorriderci bonariamente, ma non visto), forse ritenendo una mossa migliore assentire con serietà per poter vincere i suoi favori, piuttosto che dare spettacolo esclamando a gran voce il suo assenso. Occasione di esagerare teatralmente ce l'ha tuttavia subito dopo, quando approfitta della mano della ragazza allungata a stringere la sua per ruotare la propria ad accoglierla sul palmo con delicatezza, per poi piegarsi leggermente in avanti e simulare un baciamano, reso concretamente impossibile dalla ingombrante maschera beccuta. « E' un piacere, Syd. » replica, mellifluo, sollevando il volto quanto basta a far incrociare i loro occhi prima di tornare alla posizione eretta. « Oh, questa? » il riferimento a suddetta maschera gliela fa indicare come se non ricordasse d'indossarla, ma vedere Syd accostarsi battendo le ciglia a quel modo gli spezza la sillaba finale e lo fa tossicchiare « Solo la mia eccessiva avvenenza, madamoiselle. » a allarga pure le braccia, perchè non ci facciamo mica mancare nulla. Silenzio lo farà solo quando ce ne sarà bisogno per assicurarsi che Phil sia uscito dal rumore del portone principale che si apre facendo entrare i suoni del Livello I per poi richiudersi ed escluderli di nuovo. Torna dunque a concentrarsi sulla sua gradita ospite e con lentezza inclina un poco la testa di lato, guardandola « Gradisci qualcosa da bere? » non attenderà comunque risposta per spostarsi, dirigendosi verso la zona piena di mobili e ciarpame, frattanto che rimuove il guanto rimanente e li getta entrambi nel cestino quando ci passa accanto. Al suo passaggio il braccio meccanico ha un lieve sussulto che produce un ronzio breve. « Dicevi il vero quando hai detto di cercare un medico o c'è dell'altro sotto, mh? » non sembra preoccupato dal doverle dare le spalle mentre si china per aprire quello che si rivela essere un piccolo minirefrigeratore, apparentemente pieno di barattoli etichettati il cui contenuto non sarà visibile a meno che Syd non gli vada vicino. « Perchè magari potrei esserti utile in altri modi, sono piuttosto bravo ad aiutare le persone a trovare ciò che gli serve. » Fa una piccola risata nasale, attutita dalla maschera.
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    Con quel tizio, Firenze, ogni tipo di supposizione riguardante la sua identità si era rivelata completamente sbagliata. Eppure l’istinto di Syd iniziava sempre più insistentemente a suggerirgli l’idea che si trattasse di un travestito, gli elementi c’erano tutti, atteggiamento teatrale, paroloni ridondanti, autovenerazione e, ovviamente, travestimento. Cercava di proteggere la sua identità, o il suo sesso? Il baciamano era decisamente troppo da casanova, un tipico tentativo di ipercompensazione, per non parlare degli svolazzi della veste nera che lo ponevano a metà strada tra il fantasma dell’opera e una svampita diva del cinema. Lo seguì attraverso il magazzino allestito come una sala operatoria, molto igienico soprattutto per via dei mucchietti di polvere ad ogni angolo. Squadrò gli interni rimanendo dietro di qualche passo al tecnomedico così da rimanere nel punto cieco della maschera da corvo. Non c’era nessun’altra porta oltre quella d’ingresso, il che rendeva sempre meno credibile la possibilità che il suo androide si fosse nascosto lì in giro. Nemmeno a dirlo la cosa peggiorò il suo umore. Stava perdendo tempo. «Una birra» rispose istintivamente per poi tornare con gli occhi su Firenze. Le stava dando la schiena. Non sapeva se sentirsi offesa, o tenere da parte i suoi istinti femministi che pretendevano nel prossimo una certa dose di timore verso di lei e la sua pistola. Quel gesto poteva voler dire due cose o Firenze era del tutto innocente, o incredibilmente astuto. Trovava difficile credere alla seconda, ma poteva darsi che a parlare fosse il suo astio nei confronti di un individuo che in un certo senso rappresentava una gigantesca imbarazzante cantonata. Si appoggiò affranta contro ad una superficie di ferro non meglio identificata. «A dire la verità.. ho perso un androide. Le persone normali perdono le chiavi, o gli occhiali. Io invece perdo un intero androide» le scappò una risatina che poteva essere un segnale dell’incipiente isterismo causato dai giorni d’insonnia spesi a girovagare tra un indizio e il successivo, tutto solo per poi trovarsi spiazzata da uno psicopatico con la gonna. «Il fatto che lo dica a te è quasi ironico, perché trovare androidi dovrebbe essere il mio lavoro e non quello di un…» allungò una mano nella sua direzione cercando di trovare la parola più adatta a definire l’individuo che aveva davanti, alla fine si arrese al fatto che con gli strumenti chirurgici se la cavasse meglio di quanto lei facesse come blade runner, «tecnomedico!» sbottò alla fine.
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    SE SOLO FIRENZE SAPESSE CIO' CHE STA PASSANDO PER LA TESTA DI SYD SU DI LUI!! Ma non sa, e pensa anzi di star facendo proprio un ottimo lavoro di abbordaggio, che la ragazza sia sicuramente rimasta colpita da lui e che è proprio un elegante seduttore! Valuta anche di togliersi la maschera per poter meglio conquistarla grazie a sorrisi ammiccanti, ma l'autoconservazione gli suggerisce che magari è meglio prima capire con chi e cosa ha a che fare, sì, è una decisione molto saggi─ Firenze si sta togliendo la maschera. Ok no, dimenticavamo che stiamo parlando di un farfallone incapace di pensare alle conseguenze delle sue azioni (che tanto alla peggio ci pensano mamma e papà a salvargli il culo), quindi sì, eccolo che mentre le dà le spalle si toglie cappellaccio e maschera, ficcando il tutto sottobraccio prima di riemergere dal refrigeratore con due bottiglie di birra abilmente incastrate tra le dita di una mano, da maneggiatore di birre esperto. Torna a voltarsi verso di lei nel momento in cui Sydney rivela cos'è che ha perso e la rivelazione gli fa inarcare le sopracciglia in un'espressione visibilmente stupita, ma che s'affretta a sostituire con un sorriso « Una blade runner. » osserva, ricollegando l'atteggiamento con cui era entrata a questa informazione e traendone l'inevitabile conclusione. « Oh suvvia, sono certo che solitamente fai un ottimo lavoro » il tecnomedico non esita a rassicurarla con tono carezzevole ed allungandole la birra mentre tiene l'altra per sè « possono succedere degli incarichi no ogni tanto, ma magari posso darti una mano, conosco molte persone qua al primo livello, se mi dici quale cerchi potrebbero averlo visto. » non dice chi, lui, perchè è un androide di cui stanno parlando, non una persona.
    Le sorride, ed ora che il sorriso non è più coperto dalla maschera si vede quanto è ampio e con una dentatura perfetta. E che probabilmente lo sfoggia spesso, a giudicare dalla quantità di rughe d'espressione che gli circonda gli occhi.
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    Quel giorno c’era una sola cosa certa. Avrebbe affogato il fallimento nell’alcol. E lo avrebbe fatto in compagnia di un individuo particolarmente ambiguo. Gli lanciò un’occhiata afflitta con tanto di sospiro e incrocio ostile delle bracca. Con sua sorpresa tuttavia vide spuntare dallo sportello del minifrigo un cespuglio disordinato di riccioli neri. Firenze emerse di lì a poco con un paio di birre ghiacciate stette tra le dita. Aveva la faccia imperfetta di un essere umano, quella eccessivamente espressiva di chi non ha l’abitudine di tenere nascoste le proprie emozioni, ed era coerente visto che di fatti passava metà del suo tempo dietro una ridicola maschera da cornacchia. Quando le sorrise con quella stupida espressione da protagonista di film per ragazzine Syd percepì un istintivo senso di ostilità, sebbene fosse stata colta dall’imabrazzante rigurgito di una risatina. Si sarebbe volentieri presa a schiaffi da sola, ma optò per sviare l’attenzione con un colpo di tosse. Allungò una mano per strappare la birra da quella del suo ospite fortuito, spostando immediatamente lo sguardo altrove. «Grazie, ma se fosse qualcun altro a trovare il mio obiettivo non avrebbe lo stesso senso, credo» rispose sbrigativa sollevando le spalle. Aprì con la mano il tappo della birra tanto per fare la parte della dura, «insomma, voglio dire, non è che non mi sia mai servita di informatori, ma non ho mai avuto un rapporto fisso», come prego? Si prese un attimo per riflettere sul senso di quelle parole e la possibilità che le fosse venuto un ictus. «No, cioè, voglio dire che questa storia non mi piace, potresti sviarmi, o peggio farmi finire nei guai, come posso fidarmi di te? andiamo! Ricuci cyborg in cantina, non è una cosa che depone a tuo favore». Prese una lunga sorsata di birra per annegare nello sfrigolante piacere ghiacciato l’improvviso colpo di loquacità. «In più che cos’è che sei precisamente, un tecnomedico? Perché diamine lavori qui? Sembri molto più bravo di quelli che rattoppano nei bassi fondi. La storia non si regge in piedi, insomma tu…» e lo indicò con la mano libera giusto per sottolineare ciò a cui si riferiva «sei un tipo strano».
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