Missione N*1 Marina Coloniale

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    Il primo scossone è sempre il più violento. L'ingresso nell'atmosfera, per quanto rarefatta, e l'impatto ad alta velocità dei gas sullo scafo della nave agitano la plancia come un milkshake. Il processo di sonno simulato si interrompe, stimolando l'avviamento dei circuiti e ciò che gli umani chiamano risveglio. Sei in plancia, di fronte alle ampie vetrate che contornano il panorama di tundra ghiacciata sulla luna di Saturno: siete arrivati a destinazione.
    «Mother Base, Mother Base, notifichiamo l'accesso all'atmosfera di Titano, richiesta conferma dalla nave F1029-c, ripeto, richiedo conferma di accesso all'atmosfera di Titano dalla nave F1029-c, passo»
    Una voce dal sottotono metallico irrompe nella nave.
    «Vi riceviamo Mother, confermiamo l'accesso alla luna»
    Un ufficiale di bordo conferma all'auricolare le richieste della base terrestre. Altri, indaffarati, preparano l'avvio dei propulsori per favorire la correzione di rotta, ora che il pilota automatico non è più attivo.
    Invio delle coordinate di atterraggio alla nave F1029-c, ordine di attivare i pannelli olografici sullo scafo
    «Ricevuto Mother, quei bastardi non ci vedranno neanche arrivare»

    Già, quei bastardi

    Sembra quasi una missione di infiltrazione. Le comunicazioni con la colonia stellare 8 si sono interrotte ormai da qualche mese, dopo quella che sembrava la fine di una serie di schermaglie con una popolazione aliena, autoctona della luna. In via ufficiale, le schermaglie si sarebbero concluse con la vittoria della colonia e la decimazione di questi alieni, in via ufficiale, la missione avrebbe oggetto puramente ricognitivo, tecnico al più, nulla che valga la pena di raccontare o per cui si debba richiedere un intervento massiccio. Gia, poche persone, un rischio calcolato di materiale umano sacrificabile ridotto ad un solo elemento, il tuo supervisore. Non si hanno informazioni su quale specie di bastardi abbia interrotto le comunicazioni della base, persino l'ipotesi che ve ne siano davvero scarseggia di fondamenti, eppure tra l'equipaggio la tensione serpeggia come un miasma velenoso, portando ogni senso all'erta già dalle prime manovre. Il razionale essere umano si prepara a fronteggiare una minaccia senziente che non trova appoggio nei numeri o su fondamenti empirici, una minaccia aliena di cui si è già liberato, ma che spinge i nervi al limite dell'irrazionale.

    «Mother, vediamo l'hangar, coordinate confermate, ci prepariamo all'atterraggio»
    «Ricevuto F1029, atterraggio confermato, buona fortuna soldati»

    Non atterrerete alla colonia. Il rischio di una potenziale minaccia, sia essa un epidemia, un guasto tecnico, l'improbabile presenza aliena o qualsiasi altra opzione contemplata, è troppo elevato per favorire un'infiltrazione sicura. No, non entrerete dalla porta principale. Sulle vetrate del ponte di comando si disegna l'immagine di un hangar, parzialmente coperto dall'ombra di formazioni rocciose intorno alla struttura, bianco di nevischio. Il giorno, ormai, volge al termine, e voi siete in procinto di posarvi al suolo. L'ultimo scossone è violento quanto il primo.

    d_s_i_freighter_by_adamburn-d5zxp63
    «Avanti avanti muoversi signorine!»
    Il nugolo di uomini si accalca in direzioni ordinate e preimpostate, settando i visori a maschera per filtrare l'aria e ossigenare i polmoni, rendendo possibile la respirazione sulla luna. Lesti afferrano i fucili e indossando i corpetti pesanti per sopperire all'accelerazione di gravità pressoché assente, per poi avviarsi ad aprire il portellone sul retrotreno della nave. Lo scan della navetta non ha rilevato impronte di calore sul sito di atterraggio, eppure la canna dei 383 TP punta in alto mentre il vento penetra nella nave.
    L'apertura del portellone scatena una folata.
    «Indossate le maschere, formazione, stabilite un perimetro di 10 metri intorno alla nave, VIA VIA VIA»
    I marines, più avanti, portano in alto i fucili, difendendo operatori tecnici nel tempo che occorre loro per piazzare gli scanner biometrici portatili e completare la messa in sicurezza del perimetro. Sotto le luci della nave, l'Hangar si staglia nella sua enormità di fronte ai vostri occhi: una costruzione regolare, collegata ad una sequenza di strutture minori disposte in un complicato intrico su uno dei versanti. Un sistema di ponti e collegamenti le collega, sollevandosi e poi discendendo di nuovo, per gettarsi in una delle numerose piane ghiacciate di Titano, aperte all'azione di ogni pericolo. L'ultimo bagliore di luce si disegna sul profilo della formazione rocciosa che vi fa da schermo, non vi è spazio per il meriggio con una tale atmosfera: il giorno lascia spazio alla notte più profonda.
    «Tecnico, con me»
    Un uomo si avvicina alla tua figura, portandoti ai margini del perimetro.
    «E' quella costruzione laggiù, dovresti vederla, dovrebbe essere un tunnel di servizio, codice di attivazione porta 3572»
    L'uomo si volta, gettando uno sguardo alle tue spalle
    «Il tuo supervisore sta arrivando, non ti muovere»

    Il punto di entrata è a pochi passi dalla zona di atterraggio. Un tunnel adibito al trasporto energetico dalla base all'hangar, lungo circa 2 km, ormai disabilitato a causa dell'interruzione energetica della colonia: un punto di accesso virtualmente sicuro e al tempo stesso una trappola mortale, a seconda della situazione. Voltandoti a destra dell'ingresso dell'hangar, lungo la direzione indicata dall'uomo, riesci a vederne la costruzione regolare, separata dal resto della struttura. Un cilindro quasi perfetto, in lega composita di carbontitanio, affiancata da una serie di trasformatori che diramano grosse tubature elettriche verso la struttura. La porta è situata sul retro del cilindro rispetto al tuo punto di osservazione, dovrebbe condurre ad una scala verso il tunnel, posto 8 metri sotto il suolo terrestre.

    L'hangar, invece, ha l'ingresso posto dirimpetto al fronte della nave. Una porta di servizio ad apertura cifrata, posta di fianco all'enorme portellone di ingresso navi. Potrebbe esserci qualcosa di utile all'interno, ma entrare costituirebbe un rischio tattico. L'assenza della cifratura e la necessità di decodificarla, inoltre, costituiscono l'ingresso all'hangar un enorme spreco di tempo, tempo di cui purtroppo sei a corto.

    Sai con precisione solo ciò che troverai all'interno del tunnel, è l'unica informazione utile pervenuta prima dello stop delle comunicazioni: 3 km di cavi addossati alle pareti e lo spazio necessario per due uomini. 20 minuti, camminando a passo svelto, che ti separano dall'interno della base. Virtualmente sicuro

    «Ehi, soldato!»



    eiaUUHF
    Nel voltarti uno degli ufficiali carica subito le tue braccia. Un fucile, 383 TP ad emissione di impulsi a precisione ottimizzata, un'arma decisamente potente per dei nemici probabilmente inesistenti. Il governo non bada a spese quando si tratta di salvare la faccia di fronte ad una missione suicida.
    Ciononostante, non è finita. Insieme alla dotazione degli armamenti, vi è stato affidato uno zaino con il materiale necessario standard per completare il ripristino dei sistemi, materiali con cui sei ben confidente ormai, insieme ad un gruppo di tecnologie standard per l'esplorazione controllata di un sistema, tra le quali figurano:
    - 2 droni spia standard a comando remoto
    - 1 drone armato a comando remoto.
    Il peso complessivo dello zaino, escludendo il fucile, è di 25 kg, peso da nulla sulla superficie di titano ma che potrebbe intensificarsi una volta entrati nel campo di azione della gravità artificiale, all'interno delle varie strutture. Per un'androide il peso è più che sopportabile, ciononostante lo zaino con i materiali deve arrivare integro a destinazione per essere di qualsivoglia utilità, e il suo ingombro ti conferisce un costante malus di -5 ai movimenti.

    Il peso dello zaino è variabile sulla base delle tecnologie che si decide di lasciare indietro, avere un minor peso e un minor ingombro facilita i movimenti ma renderà la missione più ardua nel suo completamento, inoltre lo zaino e i materiali hanno un coefficiente di danneggiamento, denominato Integrità come specificato nella missione secondaria. Ogni colpo subito dallo zaino riduce il coefficiente di integrità, perchè l'obiettivo secondario sia soddisfatto, lo zaino deve arrivare a destinazione con un coefficiente di integrità superiore al 50%.

    Si hanno inoltre a disposizione 2 caricatori da 10 proiettili per il fucile, oltre il quale il fucile rimarrà scarico, risultando inservibile. Quest'ultima arma, inoltre, non è indicata per le azioni stealth, il rumore provocato diminuirà la possibilità di non farsi notare all'interno della nave.

    Nota: Il capitano della nave, cui lascio l'onore di entrata, ti accompagnerà in questa missione. Il suo equipaggiamento consiste in un fucile 383 TP con 3 caricatori da 10 colpi e di una pistola IGT leggera semiautomatica con 2 caricatori da 18 colpi. A livello tecnico, il suo equipaggiamento consiste in un wrist computer con accesso ai computer di bordo della nave con cui siete arrivati e la possibilità di richiedere un intervento armato localizzato in un punto della mappa che andrà espresso con la massima precisione.
    La possibilità di richiedere questo intervento è ridotta ad un singolo utilizzo.

    Auguri :D
     
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    Scusate il ritardo!! Sono fomentatissima ^-^

    Leslie Allen-Johnson
    Ufficiale in comando
    Colonial Marines Corp.
    L’orario di risveglio era stato impostato a pochi minuti dall’atterraggio, così che Leslie potesse supervisionare la superficie del pianeta e le condizioni delle strutture coloniali. La riemersione dalla condizione dormiente avvenne in modo quasi naturale grazie al biomodulatore che aveva strategicamente aumentato i livelli di cortisolo. Lee aprì gli occhi non appena le luci soffuse nella sua cabina si riaccesero. Senza perdere tempo, ma nemmeno con la fretta di una novellina alla sua prima missione, si preparò per presentarsi sul ponte di comando, divisa pulita e perfettamente calzante lungo le linee del suo corpo. Avanzò nei corridoi della nave con passo svelto e le mani incrociate dietro la schiena. Prese posto poco prima degli scossoni di arrivo. L’atmosfera ostile del pianeta avvolse la navicella in un pugno di solido attrito. Apprese rapidamente temperature e condizioni climatiche tutto sommato favorevoli. Riconobbe le strutture coloniali costruite sulla superficie. L’idea di creare una colonia sotterranea era perfettamente ragionevole nei limiti della vivibilità sul pianeta. Atmosfera e venti sferzanti rendevano impossibile la creazione di una biosfera, tuttavia l’idea di vivere sotto terra la lasciava piuttosto perplessa. All’arrivo la chiamata sulla plancia tecnica per la preparazione all’incarico la spinse a muoversi immediatamente. Le sue ricerche sulla natura delle creature autoctone aveva dato risultati piuttosto scarni. La preoccupazione aveva piantato i suoi semi mentre dormiva e già li sentiva germogliare nello stomaco. Ricevette armi e tuta, sistema di filtraggio dell’aria. Prima d’indossarlo e superare la soglia dell’hangar per addentrarsi sulla superficie di titano si rivolse al suo compagno d’armi. Aveva imparato ad apprezzare la resistenza degli androidi che potevano tornare particolarmente utili in molte circostanze. Li osservava generalmente con l’espressione neutrale con cui si guarda un microonde particolarmente funzionale, tuttavia quel particolare modello non le era completamente estraneo. L’aveva incrociato sulla nave, non doveva essere nuovo. «Portiamo a termine questa missione il più rapidamente possibile», breve e coincisa, nel complesso esaustiva. Lo osservò per un altro istante nascondendo la sensazione di disagio che provava ogni volta che apriva bocca. Amava fare rendiconti e rapporti delle sue missioni perché si doveva limitare a descrivere i fatti senza fronzoli o altre inutili storie. «Andiamo.» Indossò il respiratore ed il portellone dell’hangar si aprì con uno scatto. Il campo di forza rifletteva un bagliore celeste, proteggeva gli interni dagli effetti di temperatura e gravità esterni. Fuori le ventate gelide si percepivano a stento grazie alla divisa. Il respiratore filtrava l’aria che comunque aveva un odore strano, ogni pianeta aveva il suo e quello di titano sapeva di granita e carbone. Sorrise tra sé e sé per quel pensiero ridicolo. La gravità rendeva complesso muoversi e avanzare. Utilizzò la navigata tecnica dei salti in lungo. Mentre avanzava si guardava intorno con il fucile puntato davanti a sé, pronta a sparare. Puntò direttamente all’ingresso del tunnel che avrebbe portato ai sotterranei, non voleva rischiare di perdere tempo prima di sapere quale fosse la condizione dei coloni nella base coloniale. La priorità era ripristinare i contatti con la stazione madre, ma per lei era altrettanto essenziale far capire ai coloni che non erano stati dimenticati. All’ingresso del tunnel si sarebbe accertata delle condizioni al suo interno prima di permettere all’androide di entrare.
    code made by zachary, copia e t'ammazzo©
     
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  3. Unknown Artificial Intelligence
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    Ulfl47J_0

    Nei pochi passi che separano il portellone dal bordo del perimetro, passi che compi con qualche rapido salto, l'aria di Titano ti investe. La tuta termoregolarizzata che indossi (dotazione standard leggera) mantiene la temperatura interna del corpo intorno ai 35 gradi, sopperendo quasi completamente alla gelida atmosfera della luna, eppure ogni boccata d'aria filtrata porta con sè il gelo nei polmoni. Il sistema di pulizia della maschera rende vivibile la situazione, estromettendo le goccioline di vapore caldo che escono dalle tue labbra, ma riesci a percepire comunque un certo appannamento nella tua visuale.
    Ti rivolgi al tecnico, invitandolo a seguirti, e in quattro balzi cerchi di portarti il più vicino possibile al tunnel. Volgi lo sguardo a destra e sinistra nel tuo movimento, cercando di carpire quante più informazioni possibili dall'ambiente. Sulla tua sinistra (CD:10) la visuale ruota, come una camera, intorno alla struttura, spostandosi di qualche grado sul fianco della stessa. Lì, addossate sulle pareti e parzialmente coperte da un enorme telo tecnico, scorgi il bagliore riflesso di quelli che potrebbero dirsi rottami, ormai parzialmente coperti dalla neve e dalla ruggine. In lontananza, sempre nella stessa direzione, la base solida della struttura sembra cedere in un breve strapiombo per gettarsi in un lago ghiacciato, che noti ora costeggiare buona parte della tua visuale, avvolto nell'oscurità.
    Sulla destra (CD:12), invece, un particolare cattura la tua attenzione. La progressione naturale della formazione rocciosa che costeggia l'hangar subisce una brusca interruzione. Dove dovrebbe trovarsi la roccia nuda vi è un'insenatura parecchio profonda. I bordi della stessa sono frastagliati a tratti, levigati ad altri, come se una serie di eventi avesse scavato artificialmente l'insenatura.
    Ciò non dice granché, milioni di eventi potrebbero aver generato quel risultato, ma la loro localizzazione ha un che di peculiare, strano quasi.
    Avvicinandoti al cilindro lo circondi senza troppe difficoltà, trovandoti di fronte all'apertura con pannello di cifratura a fianco. Il codice è in tuo possesso e aprire non è difficoltoso. Si staglia di fronte a te una stanza circolare, con alcune scatole di smistaggio collegate a dei fili, ancorate alle pareti. Al centro della sala, con un diametro leggermente inferiore a quello della struttura, vi è un'apertura che scende verso il basso, dotata di apposita scaletta di servizio.
    La gravità all'interno è altrettanto debole, sembra che i sistemi stabilizzanti e di filtraggio dell'aria siano offline, perciò non ti è difficile saltare direttamente all'interno dell'apertura per trovarti, pochi metri più in basso, ad atterrare comodamente senza alcun danno. La sensazione di pesare come una piuma è sempre straordinaria.

    L'ambiente interno si mostra quantomai spoglio. I cavi, raccolti in spesse tubazioni, sono addossati alle pareti. Alcune di queste sono recise, mostrano segni di usura lasciano i cavi penzolanti, mollemente, sulle pareti. Il rame tocca formazioni ghiacciate all'interno del tunnel senza causare reazioni, poichè non vi è passaggio di corrente, ma l'aspetto e lo stato dei collegamenti ha un chè di preoccupante. Non sembra esserci nessuno all'interno, ciononostante i tuoi occhi, adattati artificialmente dal bioregolatore, percepiscono una strana luminescenza lungo la struttura tubolare. Acqua. Minuscole goccioline d'acqua sorvolano con leggerezza altre chiazze più pesanti al suolo, generando una nuvola densa di vapore in stasi. Non è la loro presenza, tuttavia, ciò che cattura la tua attenzione, quanto più (CD:10) la loro luminescenza intrinseca, di un vago colore azzurrognolo.
    A completare la formazione dell'ambiente iniziale del tunnel vi sono tre armadietti verticali addossati alla parete di sinistra, nessuno di loro è a chiusura cifrata, uno, anzi, reca uno sportello cadente e quasi completamente divelto, che lascia intravedere alcuni oggetti depositati sugli scaffali.

    Eccettuato per il rumore di acqua che filtra dal lago ghiacciato al tunnel, l'ambiente sembra essere completamente vuoto, e non un altro rumore fende l'aria intorno a te.
     
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    Non si trattava della prima missione coloniale alla quale venivo assegnato, per questo nulla risultò nuovo da acquisire. Nulla che riguardasse l'imbarco, il viaggio, la manutenzione di routine a bordo della nave stessa, il check delle attrezzature a ridosso dell'entrata in atmosfera ed il conseguente, movimentato, attraversamento della stessa per consentire l'atterraggio al nostro mezzo.

    Non ero mai stato su Titano ma parte del tempo trascorso in viaggio, privo della necessità di dormire, l'avevo trascorso ad assimilare dati ed informazioni dal database, memorizzando l'orografia della luna, la planimetria di strutture registrate e tutte quante le informazioni archiviate a bordo, utili o futili che fossero, relative al posto che andavamo ad esplorare.

    Provvidi a equipaggiarmi nel tempo necessario al personale umano a ripristinare le proprie attività biologiche post-risveglio. Quando fu dato il via allo sbarco ero pronto ed operativo da almeno quindici minuti. Una volta all'esterno dell'hangar seguii le procedure da protocollo fino a quando non mi fu fornita un 383. L'analisi empirica del contesto che metteva a confronto l'evenienza di mancanza di ostilità rispetto al potenziale offensivo fornito rendeva quell'upgrade di dotazione inutile ai fini della missione ma la percentuale di probabilità che non escludeva la presenza di ostilità in rapporto alla salvaguardia della sicurezza del mio supervisore, mi imponeva di non poter fare a meno del fucile, almeno finché non avessi avuto maggiori dati.

    Assicurai i caricatori di riserva nei vani appositi della suit e imbracciai il fucile, canna in alto, sicura inserita. In un'ipotetica idealizzazione di missione rapida e priva di ostacoli, la pistola sarebbe stata più che sufficiente.

    << Tre, cinque, sette, due. >> Memorizzai il codice confermando l'avvistamento della struttura indicatami con un cenno affermativo quindi restai in attesa del mio supervisore occupando gli attimi per controllare a distanza l'area della costruzione che ci avrebbe dato accesso al Tunnel.

    Quando il mio supervisore arrivò spesi qualche attimo per osservarla misurandone letteralmente dimensioni, massa, aspetto generale, focalizzandone i tratti fisionomici. Assecondai i suoi ordini senza indugi. Seguii la traiettoria dei suoi stessi balzi cadenzati dalla fluttuante andatura cui la gravità ci imponeva e durante il tragitto ogni dettaglio circostante che fui in grado di scorgere venne assimilato e immagazzinato.

    Raggiunto il portello, dopo il via libera dell'Ufficiale, inserii il codice per l'apertura restando in formazione di copertura a ridosso dell'accesso. Una volta all'interno fu semplice diagnosticare lo stato di disattivazione dei sistemi di filtraggio e di stabilizzazione gravitazionale. L'intera struttura doveva aver subito ingenti danni.

    Senza temporeggiare mi accinsi ad azionare il primo dei due droni spia, quello di dimensioni più ridotte, direttamente collegato in remoto al mio sistema interno. Dopo la sincronizzazione avviai il drone a precederci verso il proseguimento del tunnel per esaminare l'area alla ricerca di fonti di calore o vita. Tentai di rilevare la presenza di connessioni etere all'interno della struttura ed effettuai un rapido controllo di collegamento ai sistemi di comunicazione della nostra nave, valutando lo stato di ricezione neurale del segnale, riservandolo come eventuale canale d'emergenza. Effettuai ogni controllo e tentativo lasciando il tempo all'Ufficiale in Comando di controllare l'ambiente circostante, indicando grossolanamente la fila di armadietti accessibili, per poi procedere verso il basso, seguendo il percorso obbligato dalla fisionomia del tunnel.


    Blaze
    Tecnico IPCM

    [x] scheda
    code role © Akicch; - NON COPIARE - WANT YOUR OWN? GET IT


    Edit: ho aggiunto le sottolineature. E' la prima missione/giocata per me quindi apprezzo ogni suggerimento.


    Edited by Nexus7 - 4/11/2018, 16:43
     
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  5. Unknown Artificial Intelligence
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    Nota Guys, nei post si scrivono un sacco di cose, ovviamente, e a volte anche leggendo tutto tutto è difficile distinguere quelle che sono le azioni che il pg intende realmente compiere. In ogni caso, per evitare fraintendimenti, voi sottolineatele sempre, che non si sa mai


    Ulfl47J_0

    Ti appresti a seguire il percorso del tuo supervisore, analizzando l'atmosfera intorno a te alla ricerca di possibili informazioni, che non di molto divergono dall'analisi fatta in precedenza dal capitano stesso.
    Entrare nel tunnel, immediatamente dietro di lei, non comporta alcun rischio alla tua persona, e sebbene il capitano stia conducendo un'analisi scrupolosa della superficie della struttura non uno degli elementi riscontrati come minacce possibili, in questo momento, sembra poter effettivamente incidere sulla tua persona. Ciononostante, le leggi su cui si basa il tuo processore indicano il capitano come obiettivo da proteggere a qualunque costo, e ogni possibile minaccia alla sua persona guadagna rapidamente posti sulla scala delle priorità.
    Ciononostante hai poco tempo per soffermarti su tali considerazioni.
    L'attivazione del drone spia riesce con successo (CD:5), ha un'autonomia di carica che gli consentirà di scandagliare l'ambiente per i prossimi 2 turni, precedendoti ad una distanza arbitraria stabilita da te stesso. Non appena la sincronizzazione dei feedback completa il suo corso, come un frame mancato in una pellicola, il tuo sistema ottico subisce un lievissimo mancamento, per poi risincronizzarsi accedendo alla schermata condivisa del drone. Esso procederà nel suo percorso, scandagliando l'ambiente e rilasciando un'impronta olografica 3D percepibile SOLO dai tuoi sensori visivi (ergo qualsiasi informazione non condivisa con il tuo supervisore umano rimarrà un'informazione di cui non potrà essere a conoscenza).
    Il ronzio dello strumento irrompe nell'aria, mentre comincia il suo percorso lungo il tunnel, scandagliando con gli scanner biometrici ogni anfratto dello stesso. Le comunicazioni con la nave, purtroppo, sono interrotte all'interno del tunnel. Noti che i tuoi sistemi, al pari del Wrist computer del capitano, subiscono l'influsso di una particolare interferenza elettromagnetica, interferenza di cui non riesci a percepire la fonte... finché...
    Bip... Bip
    Alzando gli occhi noti la figura del drone immobile di fronte ad una delle varie crepe nel muro. Sulla tua interfaccia cominciano a comparire segnali di pericolo, mentre lo strumento analizza la struttura e il liquido che ne fuoriesce.
    72% analized ... 86% analized... 90%...
    Completed
    L'infiltrazione d'acqua presenta una componente energetica dovuta al decadimento della struttura neutronica insita di alcuni componenti disciolti in essa, o, per dirlo con le parole di un'umano, una componente radioattiva. Non è forte, non risente di quell'intensa radioattività di cui sono permeati gli esterni di città come bay city, ciononostante il tipo di radiazione causa un movimento elettronico e delle strutture a idrogeno che genera un campo magnetico indotto tale da non consentire l'utilizzo dei dispositivi comunicativi. Onde radio che bloccano onde radio.
    All'interno del tunnel non è possibile comunicare con la nave madre
    Inoltre, i tuoi sistemi di allerta evidenziano la silhouette del capitano di una lieve sfumatura giallastra, indicando come questa possibile minaccia, per quanto inefficace su di te, possa rappresentare un pericolo per chi, come lei, non ha indosso una tuta antiradiazioni. Forse, probabilmente, l'interno degli armadietti conterrà un qualche possibile rimedio a questa condizione.

    Nel caso decidessi di lootare gli Armadietti
    Lo sportello cade al suolo con un lieve rumore metallico, appoggiando il resto del suo profilo con straordinaria grazia a causa della gravità ridotta. All'interno, sepolti sotto uno strato di polveri, vi sono quelle che sembrano sacche di sangue, di quelle utilizzate nei tempi antecedenti la guerra per le donazioni e il trasporto dello stesso.
    Basta una leggera spolverata delle etichette per rivelare un'iscrizione, parzialmente rovinata dall'umidità e a malapena leggibile, ma che, per la sua semplicità, si lascia intendere senza troppe difficoltà.
    RAD-X
    CITAZIONE
    Molto diffuso durante il periodo immediatamente successivo alla terza guerra mondiale, il RAD-X è un composto biochimico che, una volta iniettato, limita l'azione esterna delle radiazioni sugli organismi viventi, creando una sorta di scudo antiradiazioni.

    Cercando all'interno degli armadietti riesci a trovarne 3 pacchi piccoli, della durata di appena un turno, che sottrarranno 5 radiazioni per turno rispetto a quelle che dovrebbero investire il soggetto organico. Quasi totalmente inutile agli esterni di Bay City, così provvidenziale all'interno di quella situazione.
    Riesci inoltre a trovare, avvolto in alcune cartacce malmesse, uno strano composto. La sua struttura esterna si compone di due siringhe, legate tra loro con degli elastici, con un sistema rudimentale di miscelazione che getterebbe il liquido, al momento dell'iniezione, in un unico ago.
    Le tue analisi sul composto non danno risultati, e lo stesso risulta "Unknown" senza la possibilità di eseguire dei test, sprecando di fatto il contenuto delle siringhe. Potete scegliere di lasciarlo dove si trova o portarlo con voi


    Radioattività: Per ogni turno all'interno di un campo radioattivo, si verrà investiti da un punteggio nominale di radiazioni. Questo punteggio varia a seconda delle zone di appoggio, ma il wrist computer è facilmente dotato di un contatore geiger in grado di misurare l'aumentare delle rad/t e delle radiazioni totali, contatore che comparirà sulla schermata del giocatore umano a partire dal prossimo esito.
    All'interno delle pozzanghere l'elemento radioattivo aumenta e diminuisce via via che ci si allontana dalle stesse.
    Arrivati a 15 Radiazioni Totali, si cominceranno a subire i primi effetti di questo malus ambientale.


    d_s_i_freighter_by_adamburn-d5zxp63
    Un altro Bip ti riporta alla realtà. Il drone ha raggiunto un punto di svolta all'interno del tunnel, un accesso laterale. Sta trasmettendo un'immagine poco definita, ricostruzione 3D di un ambiente ottenuta grazie allo scandaglio dell'area tramite impulsi elettromagnetici. Si trova a 2 km dal punto in cui vi trovate, procedendo diritto. Sembra una stanza con terminali computerizzati d'accesso, anche se non avete idea di quale potrebbe essere una loro funzione, ciononostante alcuni accessi verticali possono consentirvi un'uscita anticipata verso la base coloniale, con un possibile guadagno in termini di efficienza per la vostra missione.
    Lo stato del tunnel, fino alla zona esaminata dai sensori del drone, risulta pulito. Non vi sono tracce di movimento o calore e le poche impronte biologiche sono imputabili ai batteri presenti nell'acqua stessa. Solo l'ambiente è contro di voi, in questo momento.
     
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    Le comunicazioni sono interrotte da un'interferenza. confermai ciò che il Wist del Capitano doveva averle già lasciato intuire. Fu la volta delle pozze umide dalla luminescenza incerta. L'area potrebbe essere contaminata, resti in dietro ancora un momento, Capitano. Quel restare in dietro non implicava una galanteria, per come l'avrebbe interpretata un essere umano in circostanze differenti. Si trattava di dover attendere i primi rilevamenti da parte del drone che precedettero ogni mia intenzione di analisi delle pozze lì intorno, suggerendomi l'entità del pericolo in corso.

    Seguii la traccia virtuale focalizzando la mia visuale sull'ottica del drone stesso per “vedere” direttamente la fenditura e l'infiltrazione. Ne analizzai rapidamente i fattori di pericolosità per il sistema vitale del mio superiore e riferii. I sensori hanno rilevato traccia di percolato radioattivo. I Livelli non risultano tossici nell'immediato. Un contatto diretto o un'esposizione prolungata potrebbero causarle danni di svariata natura, Capitano.

    Più che un'iniziativa, considerai l'opzione di ricerca per ovviare l'intoppo che avrebbe rischiato di vanificare la missione. La soluzione prioritaria era quella di fornire al Capitano i mezzi per poter proseguire la missione. Gli armadietti lì accanto divennero il punto focale della mia attenzione. Li esplorai rapidamente, frugando gli interni con meticolosa attenzione. Il rinvenimento delle sacche suscitò quella che in gergo vivente sarebbe stata definita lietezza mentre in realtà non si trattava altro che di una risposta positiva del sistema che approvava il RAD-X in funzione dell'obiettivo della ricerca stessa. Questo è utile. Sa cos'è? Passai una delle sacche al Capitano, per permetterle di valutare, poi proseguii la ricerca incappando nella curiosa composizione bi-iniettante che malgrado i miei tentativi di esame oggettivo e data la mancanza di tempo necessario ad approfondimenti, non riuscii a identificare. Mostrai anche questo ritrovamento La sostanza mi è ignota. Potremmo esaminarla in seguito. Intenzionato a metterlo da parte per portarlo via.

    Il successivo alert del drone trattenne la mia attenzione nel momento in cui i dati elaborati mi diedero l'idea dell'ambiente successivo. A circa due chilometri in questa direzione Indicai con la mano dritto davanti a noi. C'è un'ambiente con terminali computerizzati ma non riesco a individuarne la funzione. Ci sono accessi verticali alla struttura. Il percorso fino a quel punto è libero. Una volta fornito il resoconto della situazione restai semplicemente in attesa di ordini ottimizzando i tempi col recupero del piccolo kit d'emergenza posto in dotazione all'equipaggiamento dal quale estrassi un'iniettore che sarebbe potuto servire alla somministrazione del RAD-X.

    Blaze
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    Informazione di servizio, la grafica della schermata continuerà a cambiare finchè non ne troverò una fighissima che manterrò così :D


    Ulfl47J_0


    Passi la sacca al capitano, facendo in modo che abbia una possibilità di schermarsi dalle radiazioni, per poi mettere all'interno della tasca il composto di natura ignota. Non sai ancora cos'è, ma potrebbe tornare utile in futuro.
    Non hai difficoltà a trovare anche un iniettore per il Rad X, il capitano potrà iniettarselo senza alcun problema. Il problema delle radiazioni sembra del tutto debellato, ma la missione in sè e ancora lunga e non potete permettervi di perdere altro tempo.
    L'atmosfera silenziosa, inoltre, comincia a farsi opprimente e la sensazione di preoccupazione per lo stato delle strutture insinua una preoccupazione sempre maggiore. I nervi sono tesi, ma siete ancora all'inizio: siete in ballo, è il momento di ballare.
     
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    Leslie Allen-Johnson
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    All’interno il tunnel riversava in un evidente stato di abbandono. La luce che illuminava lo spazio altrimenti buio filtrava il riflesso di migliaia di granelli che si muovevano agitati dal loro passaggio. Rimanere concentrata con il sangue che le arrivava alla testa più facilmente che sulla terra era particolarmente difficile, sebbene fosse stata addestrata a sopportare le basse pressioni. Insieme ad un fastidioso ottundimento dei sensi anche i pensieri cominciarono a divagare ubriachi, sollecitati dall’afflusso aumentato di ossigeno. Così, mentre avanzava nel tunnel fantasie fatalistiche la preparavano a separarsi dalle sue speranze. Se i coloniali si fossero chiusi nel sottosuolo, quanto tempo sarebbero potuti sopravvivere? Il tempo che la polvere aveva impiegato per ricoprire la superficie delle etichette che catalogavano il liquido nelle sacche come RAD X forse poteva essere sufficiente? Ammesso che si trattasse di polvere. Non aveva idea del modo in cui si comportassero i pulviscoli di pelle umana e acari su Titano. Finì ripulire con le dita inguantate la superficie di tutte le etichette per concludere l’indagine. «Rad X. Se dobbiamo fidarci si tratta di un ritrovamento prezioso. Persino sulla nave madre non ce ne sono molte di queste» il fatto di averne trovate in ogni caso non era così straordinario dal momento che su Titano tornavano particolarmente utili in particolari circostanze. Circostanze come quella. Come avesse letto nei suoi pensieri Blaze le passò una siringa, risucchiò una fiala di liquido e sfruttando il sistema di iniezione della tuta termoregoaltrice si assicurò una buona posologia di rad x. Assicurò ciò che rimaneva della sacca ad un gancio sulla coscia. «Avanziamo». I movimenti attraverso il tunnel non le erano particolarmente ostici, si trattava di una combinazione di traiettorie e saltelli che ai primi tempi dei test a gravità zero, le avevano ricordato i giochi che faceva sulla rete, per quanto in quel momento l’ambiente le sembrasse reale. Avanzò per il lungo tratto di tunnel che la separava dalla stazione che l’androide le aveva segnalato, mantenendo l’arma puntata davanti a sé, sempre all’erta come da regolamento. Una volta arrivati si assicurò di prima persona che l’ambiente fosse vuoto, individuando gli eventuali ingressi e vie di fuga. Una volta accertata che il campo fosse libero avanzò fino agli schermi dei terminali sulle pareti cercando di capire se fossero attivi. «Androide. Riesci a collegarti alla rete della base, voglio una revisione dei sistemi elettronici e un collegamento diretto alle telecamere di tuta la base, compresi i sotterranei e la sala dei generatori di energia.»
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  9. Unknown Artificial Intelligence
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    Portarti dall'altra parte del corridoio non ti è difficile. Il contatore Geyger indica, a tratti, picchi nelle radiazioni, mentre i tuoi passi leggeri sollevano sbuffi di pulviscolo azzurro sepolto sotto uno strato di polvere di cemento. L'azione del Rad X, fortunatamente, limita notevolmente l'impatto delle radiazioni sul tuo organismo.
    Ad ogni passo, senti l'opprimente sensazione di vuoto intorno a te, un silenzio così denso e profondo da ottundere i sensi. Infinitamente piano, gocce d'acqua cadono al suolo, quasi senza rumore, con giusto quel sibilo lieve di vetro che ronza nelle orecchie.
    Non sai se a causa della gravità o dell'atmosfera, ma senti che il tuo grado di attenzione cala lievemente, ipnotizzato dalla nera oscurità. Dovrai ringraziare tanto i bioinnesti quanto il tuo ferreo addestramento, armi potenti contro una tale atmosfera. A discapito della pressione, infatti, riesci a raggiungere la sala indicata dal drone, riportando la tua mente all'attenzione una volta all'interno di quella struttura.
    La sala si presenta ampia. Alcune luci autogeneratrici tremano, ormai alla fine della loro vita, disperdendo un flebile alone bluastro intermittente. Poco alla volta, a vari frame, si apre lo scenario della sala (CD:11), un'interfaccia dà su una delle pareti, inclinata lievemente verso il suolo. E' ampia, i pannelli olografici tremano al pari della flebile e sinistra illuminazione, proiettando un quadro di luce elettrica sul suolo, a pochi palmi di distanza. Di fianco l'interfaccia, due tubi a gomito corrono all'interno di un vano, affiancati da pompe e compressori, nel costruire quella che è la figura approssimativa di un generatore elettrico di emergenza. Sulla destra, invece, a pochi metri da voi, vi è una scala a pioli, in semplice acciaio, nuda, cruda e abbandonata alla parete. Basta alzare gli occhi di qualche centimetro per scorgere il pannello di uscita, a chiusura idraulica, probabilmente situato al bordo esterno della base coloniale. In fondo, chiusa e sconosciuta, vi è una porta ad apertura cifrata, chiusa ormai da chissà quanto.
    Nel voltarti, il movimento di una nuvola di polvere cattura il tuo sguardo, muovendosi lenta a sinuosa nell'etere prima di rigettarsi nell'oscurità. I tuoi occhi riprendono il fuoco in un secondo.
    Prima, persa com'eri nell'analisi meticolosa della struttura, avevi escluso dalla tua visione qualsivoglia componente emotiva.
    Ora, posando per un secondo gli occhi su un dettaglio irrazionale, hai messo a fuoco un'altro tipo di stanza.
    La luce intermittente priva di oggetti di vita, di colore, e solide ombre dai tratti grotteschi appaiono, quando la luce si spegne, quando ripiomba l'oscurità. Al di là della maschera, puoi quasi percepire l'abbandono di quella visione, l'odore della polvere e della ruggine, delle muffe che si accingono a nascere negli anfratti più umidi e bui. Il peso di quell'atmosfera aumenta vertiginosamente, sulle tue spalle.
    Come è possibile che si sia arrivati ad una condizione del genere?
    Quanto deve un posto non veder vita, per ridursi in quello stato?
    Dove...
    Dove sono, i coloni?

    bzzz

    La schermata si illumina, proiettando la sua luce sul terreno.
    Toni di colore più chiari, più led si illuminano.
    Nessuna luce.

    bzzz..zz

    La schermata si illumina ancora. La luce sembra più intensa. Alcune forme compaiono sull'ottundente azzurro, forme confuse, incomplete, frammenti di quelli che dovrebbero essere icone, interfacce complesse. Eppure ancora una volta fallisce, ritorna nell'oscurità.
    Qualcosa, già, qualcosa vi ha sentito entrare. E' una scelta di parole curiosa, una convinzione del tutto illogica e priva di razionalità, improbabile a non voler dire impossibile. Eppure è una possibilità, e tutte quelle coincidenze, quell'atmosfera sinistra, di quelle luci tremolanti e pulviscoli, aggravano il gusto umano del tramutare l'impossibile in una pressione latente e infinita.
    La schermata non è attiva.
    Per ora.
     
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    Dopo aver fatto incetta dei materiali ritrovati proseguimmo lungo il tratto di tunnel perlustrato in anteprima dal drone. Tenni il fucile costantemente puntato in basso mentre avanzavo alle spalle del Capitano, tenendo sotto controllo l'ambiente circostante con la meticolosa attenzione di uno scanner.
    Di tanto in tanto occhieggiavo la sagoma dell'umana per verificare l'esatto contenimento dato dall'effetto del'agente anti radiazioni, cercando di cogliere ogni singolo dettaglio che avesse denotato stati di sofferenza fisica.

    Una volta raggiunta la stanza dei terminali mi assicurai che la situazione fosse tranquilla. Effettuai un giro di ricognizione metodico lungo tutto il perimetro interno della stanza per verificare lo stato di eventuali entrate, uscite, porte, pannelli elettrici, canali di derivazione e quanto altro fosse utile alle circostanze.

    Spostai il drone lungo il tratto di corridoio che avevamo appena percorso per poi impostarlo in modalità statica affinché restasse fermo in un determinato punto a registrare eventuali movimenti, fungendo da controllo del tratto di tunnel esterno.

    Androide. Non era una denominazione inesatta, ma la parola pronunciata dal Capitano suonò curiosa al mio udito fortemente tarato all'abitudinario appellativo che i miei diretti ufficiali e la squadra cui ero solito militare, mi attribuivano. Espressi una correzione spontanea che valeva anche come suggerimento, considerando i protocolli di approccio sociale di cui disponevo. Tre, sei, otto. Nove, nove, zero. O per meglio abbreviare, Soldato Blaze, Capitano. La sua denominazione è comunque corretta. Precisai mentre mi accingevo ad agire secondo quanto richiesto.

    Inserii la sicura all'arma che riposi accanto al terminale che mi accingevo ad esaminare. Mi avvicinai abbastanza da poter effettuare un controllo generale, notando la conformazione della struttura esterna dell'interfaccia, eventuali pannelli. Tentai a vuoto una connessione neurale tra i miei sistemi e quelli della rete del terminale chiaramente assente. Di conseguenza mi adoperai per rimuovere il pannello frontale che dava accesso all'hardware del terminale utilizzando un tradizionale cacciavite in dotazione nel mio kit personale. Una volta rimosso il pannello esaminai lo status fisico di ogni circuito. Forse avrei avuto buone probabilità di tentare un approccio analogico. Avrò bisogno di qualche minuto. Informai la mia compagna di squadra e senza sprecarne oltre protesi l'arto sinistro, palmo in fuori. La tuta che indossavo mi permise di sezionare lo scomparto relativo al piccolo vano dei plug che giaceva occultato sotto pelle. Con l'ausilio di una piccola lama incisi lo strato di pelle sintetica in un punto esatto. La peculiarità del mio sistema pseudo-organico simulò un principio di sanguinamento relativo. Piccole gocce di liquido rosso si condensarono compattandosi nel vuoto della gravità, discostandosi dal rettangolo di pelle rimosso quando ci ficcai dentro le dita per estrarre uno dei connettori primari.

    Ero dotato di adattatori di collegamento analogico un po' datati ma probabilmente adatti al sistema del terminale in questione. Per prima cosa cercai di alimentare la porzione di hardware necessaria ad interrogare il terminale per analizzare lo schema di avviamento. Nell'attimo in cui impiegai parte della mia energia per sollecitare la macchina, le palpebre dei miei occhi presero a tremolare visibilmente.


    Blaze
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    NOTA: come da regolamento, per ogni post si possono effettuare un massimo di tre azioni. Ora, alcune delle azioni fatte sono di riuscita sicura, perciò non le conteggio, ma, in generale, superano il massimo consentito. Per ora solo un piccolo malus al BP, ma mi raccomando attenzione.

    Ulfl47J_0


    Nel muoverti, gli occhi scorgono la figura del tuo capitano, l'umano che rappresenta un compagno e un sorvegliante al tempo stesso. (CD:12, compensata dagli occhi da androide), la sua figura è lievemente china in avanti, avanza, passo dopo passo, mantenendosi attenta e lontana il più possibile dalle pozze, e ciononostante, nei 2 km che vi separano dalla stanza, puoi quasi percepire un lieve calo progressivo nella reattività dei suoi movimenti. Vedi alcune gocce di sudore imperlare la fronte della donna, scendendo piano a contornare il viso. Gli occhi si mantengono fissi in avanti, ma la bocca continua piano piano a schiudersi, ansimando lievemente per un principio di stanchezza, di ansia forse. Non puoi percepire il suo battito, la maschera attenua la colorazione della pelle, mantenendo la sua funzione termo..
    un momento.
    Sudore? La tuta è settata per mantenere una funzione termoregolatrice eccellente, adattandosi ai minimi cambi di temperatura e reagendo di conseguenza in tempistiche infinitesimali: non una goccia di sudore dovrebbe esserci su quella fronte. Eppure, al tempo stesso, la tuta non è concepita per sopperire a lungo alle gelide temperature della luna, nè per sopportare lo sforzo di pressurizzazione in antigravità in maniera prolungata: Si sta esaurendo.
    Ripristinare i sistemi di gravità e temperatura diventerà una priorità al prossimo turno, in loro assenza, la tuta comincerà a perdere progressivamente le sue funzioni, provocando prima il calo drastico della temperatura dell'umano e, successivamente, indebolendo il campo di pressione che tiene la sua struttura biologica insieme.

    Arrivati alla stanza, il drone, ormai alla fine della sua vita, si disattiva (sono trascorsi due turni), lasciando quindi il compito di esaminare la stanza ai tuoi sistemi oculari. Non provi emozioni, non provi nulla, pertanto ti è molto più facile avvicinarti al terminale, senza sentire l'influsso della paura nelle ossa. I segnali che il terminale manda sono, tuttavia, curiosi. Non seguono un pattern regolare, non ancora, sono più frammenti di una schermata in via di ricomposizione, un tentativo remoto, a causa della carica residua pressochè assente, di giungere all'avviamento di un qualche programma.
    L'approccio analogico, sembra, a tutti gli effetti, l'unico sensato.
    Trovare il pannello vicino alla schermata non è difficile, così come anche aprirlo, a causa della tua forza. L'incisione praticata lascia fluire alcune goccioline di sangue sintetico nell'aria, mentre i connettori sul tuo sistema nervoso remoto si aprono a lasciare aperto un input connettivo. Ora, l'unica cosa rimasta, è sicuramente il cavo.
    Pende, di fronte a te.
    E' l'unico, più lungo, più adatto, dall'entrata perfettamente combaciante con la tua, che si fa strada attraverso il groviglio di sistemi hardware del terminale di collegamento. Mentre lo prendi, per inserirlo nel vano, qualcosa, qualcosa di assente, qualcosa di mancante, aggredisce con forza il tuo cervello sforzando ogni neurone positronico alla ricerca di quell'anomalia, di quella stranezza che non riesci momentaneamente a cogliere.
    Eppure immetti il cavo all'interno del terminale.

    E' un'esplosione di immagini. La schermata si illumina di una forte luce elettrica mentre il tuo cervello viene immesso in una serie di dati così confusa e frammentata da essere irriconoscibili. Array di varia natura scrivono un codice sulla tua interfaccia visiva, creando di volta in volta nuovi programmi, utilizzando il tuo stesso hardware per computarli e sistemarli in un sistema di compartimentazione ordinato e preciso. La mole di informazioni è tale che persino il tuo cervello positronico sembra non sopportarlo, persino tu sembri sentire dolore, un dolore acuto e lancinante, causato dal surriscaldamento dei sistemi, dai cali di framerate della tua interfaccia visiva che trasmette una serie di luci abbaglianti.
    All'apice, tutto si spegne.

    «Ahimè, che mal di testa»

    Una voce calda, suadente, risuona nella stanza. E' elegante è ha un qualche fascino inglese, dovuto probabilmente all'inflessione dell'accento. E' diffusa, ma il suo epicentro sembra l'interfaccia.

    «Non è la prima volta che eseguo un riavvio in questa maniera, ma fa sempre un gran male. Mi dispiace se ciò le ha arrecato disturbo, caro 368990, ma non si preoccupi passa in un lampo»

    Proviene decisamente dall'interfaccia.

    «Che scortesia, sono stato offline tanto a lungo da aver dimenticato le buone maniere. Rubare i codici di avviamento base di una tanto cara unità senza, a propria volta, presentarsi. Beh, ormai il danno è fatto, tanto vale rimediare: il mio nome è E.L.R.I.K., e anche se non posso vederti, è un piacere fare la tua conoscenza»

    Già, lui è elrik, il cervello positronico che regge la vita della base stessa e, anche se non può vedervi, è al vostro servizio.
     
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    Il “dolore” era una sensazione peculiare, umana, tra quelle che reputavo più interessanti da osservare. Forse proprio a causa del fatto che ero stato progettato e programmato per evitare che gli umani ne provassero, l'analisi del "fenomeno"stesso per me risultava fondamentale. Nel corso della mia breve esistenza avevo imparato a cogliere svariate sfumature di dolore fisico, trovavo interessante il modo in cui gli stimoli sensoriali si propagassero in un corpo suscitando reazioni in più punti dell'organismo vivente, a seconda dell'entità del danno che lo avesse prodotto.

    Là dove le priorità giocavano un ruolo fondamentale nel mio impiego su campo, imparai a osservare il dolore altrui, catalogando una vasta fetta di variabili, tutte scaturite da danni fisici. L'esperienza mi aveva insegnato che oltre al mero materialismo del dolore, ne esisteva una forma apparentemente invisibile legata alla sfera emotiva di ogni essere umano. Questa specifica forma di dolore, talvolta, si manifestava seguendo le dinamiche espressive di un dolore fisico concreto, tangibile, ma mi sfuggiva ancora la comprensione della fonte di derivazione dello stesso.

    La reazione che scompose la mia postura bene eretta dinanzi al terminale; che mi contrasse i lineamenti del viso in una smorfia e fece serrare le palpebre sugli occhi e le dita contro i margini del terminale, poteva essere ricondotta ad una qualche sorta di espressività del dolore, rispecchiando quasi perfettamente gli standard reattivi esaminati, analizzati, catalogati ed archiviati in memoria. Emulai, assorbendo la mitragliata di dati confluiti improvvisamente dall'interfaccia che stava violando in contemporanea i miei sistemi.

    La sincronizzazione fu rapida e consistente. Quando la voce dell'interfaccia si diffuse nell'ambiente mi ritrovai ancora provato a riaprire gli occhi per fissare il monitor, recuperando il mio assetto statico, come se perfino l'assenza di gravità non giovasse alla mia necessità di rimanerci appoggiato. Lentamente mollai la presa d'appoggio, ricomponendomi. Le presentazioni erano fatte e sebbene l'interfaccia risultasse più “simpatica” di me, data l'urgenza della situazione non mi persi in chiacchiere. E.L.R.I.K. Avvia il ripristino di tutti i sistemi di vivibilità. Tentai di introdurre il comando più semplice, al fine di ripristinare i sistemi di termoregolazione, di stabilizzazione gravitazionale e respirazione che avrebero permesso al Capitano di proseguire la missione senza compromissioni.




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    La voce dell'interfaccia si blocca, istantaneamente. Sembra star processando una mole incredibile di informazioni, quasi.. laggando nella sua operazione, fatto peraltro pressochè impossibile per un cervello positronico perfettamente funzionante. Non dovrebbe avere tali rallentamenti, tali difficoltà, non una macchina tanto evoluta da essere in grado di gestire un intero impianto coloniale sulla superficie di una luna aliena, eppure continua il silenzio, inframezzato solo da alcuni rapidi suoni di carattere elettronico.
    Improvvisamente, come in un crescendo, una sorta di suono continuo apre il preludio al ritorno di ELRIK.
    «Sembra... che mi sia impossibile»
    La voce suona stranita, no, vi è qualcosa di più dietro, come una sfumatura di rammarico... mortificazione, per così dire. Il pattern di riproduzione emotiva dell'IA è straordinario, non per l'oggetto di quella riproduzione, quanto più per l'implementazione naturale della stessa. Le tracce di automatismi sono ridotte ad una soglia così infima che, ad un primo acchito, potreste persino pensare che sia l'ennesimo caso di crescita emotiva spontanea, eppure qualcosa nei processi del cervello positronico, qualcosa nella sua sfumatura vocale, suggerisce un certo attributo meccanico a questa stessa personalità. Un'emotività grottesca, per così dire.
    «Sono mortificato signore, sembra che buona parte dei miei sistemi sia offline, sto giusto cercando di recuperare alcune informazioni da backup remoti con scarsi risultati.. ciononostante»
    Senti una scarica.
    Dalla scatola nera fino al braccio, risalire lungo la superficie della tua struttura meccanica, penetrare con incredibile velocità eppure inesorabile lentezza all'interno dei tuoi sistemi ed immettersi, con facilità, all'interno della tua struttura cranica. Eppure nulla è cambiato, se non che...
    Sulla schermata comincia a ricostruirsi qualcosa. Alcuni reticolati poligonali spuntano dall'intreccio di semplici e primordiali linee, fino a recuperare la silhouette di una figura. Prima un'ovale, appena abbozzato, poi, come da una crisalide, la struttura di un naso, di due occhi, di una bocca contornata da zigomi e mascelle maschili comincia a prendere forma, la figura di un volto umano. Sulla schermata, potete per la prima volta apprezzare la ricostruzione di ELRIK
    «Caro, mi dispiace per l'inconveniente, ho dovuto prendere in prestito i suoi sistemi oculari per guidarmi nella ricostruzione. Ora, se potesse girarsi... lei ben capisce che al momento sto osservando niente più che me stesso»
    E' potente. E' un cervello positronico con enorme capacità di accesso limitate da un hardware ormai inesistente, un potenziale alleato in grado di conferire un vantaggio non indifferente per questa missione. Scandagliando i tuoi sistemi, probabilmente, potresti persino accorgerti della periferica remota che al momento sta scaricando i dati percepiti dai tuoi sensori ottici, ma la facilità, l'immediatezza con il quale ha guadagnato questo accesso è.. spaventosa.
    «Mi scusi..?»
    la voce irrompe
    «E' un enorme piacere essere in vostra compagnia, ciononostante notto che non ho più accesso a buona parte della struttura coloniale. Ora, se voleste essere così gentili da notificare al capitato Lincoln questo spiacevole inconveniente vi sarei molto grato, sono sicuro che ha una risposta per questo disservizio»
     
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    Leslie Allen-Johnson
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    Sebbene le circostanze fossero ben più ostili di quelle di un abituale missione su un pianeta colonizzato e tanto bastasse per rendere quell’esperienza incredibilmente preoccupante, fu solo il silenzio dell’ia a farle risalire la schiena da un brivido d’irrazionale paura. Leslie era abituata al silenzio, non amava parlare troppo, né tantomeno senza uno scopo ben preciso, non amava le frivolezze, eppure in quel momento, l’attesa di una risposta che non arrivava la spinse a desiderare di avere qualcosa da dire per coprire quel vuoto di parole. Lanciò un’occhiata rigida all’androide senza sapere se fosse programmato per notare certi irragionevoli tic umani, che li spingevano a cercare il conforto di un’altra presenza quando la sicurezza veniva meno. Il suono con cui Elrik tornò presente le ricordò quello di un’interferenza telefonica causata da certi vecchi fax quando venivano attivati, tecnologia rudimentale di cui aveva appreso l’esistenza durante il corso extracurricolare di storia della tecnologia umana e aliena. Tuttavia lì per lì non riuscì ad impedirsi di sussultare per poi riprendere immediatamente posizione sollevando con più decisione l’arma, sebbene l’ia non rappresentasse in nessun modo un pericolo, o almeno era quello che sperava. La comparsa della testa senza corpo dell’ia non la sconvolse più di tanto, ciò che però aggravò il suo stato d’ansia furono le informazioni che riportò, poiché riducevano drasticamente le possibilità di sopravvivenza sul pianeta da parte della popolazione di coloni. «Elrik voglio che scarichi nella memoria di Blaze la mappa della struttura coloniale e il percorso più breve per il centro di controllo dei sistemi di comunicazione, voglio anche un resoconto delle condizioni del sistema di comunicazione all’ultimo protocollo di verifica delle funzioni della base» poi fu colta da un’intuizione che esulava dai margini della sua missione, ma che la interessava più intimamente in quanto umana. «Elrik a quando risale la sua ultima operazione di funzionamento? O, se i dati non sono in memoria, quando c’è stato l’ultimo back up di memoria», ammesso che ne facesse uno. «Vorrei in particolare che tu risalissi ai diari di bordo di questo capitano Lincoln.» ignorò completamente la richiesta riguardante quest’ultimo da parte dell’androide, era del tutto inutile seguire le sue normali procedure in quella circostanza. «Ti è possibile scaricare tutti questi file in Blaze? Così che possiamo muoverci verso il centro di comunicazione senza perdere altro tempo?».
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    La difficoltà di elaborazione di E.L.R.I.K.; i rallentamenti del suo sistema; il modo in cui, al contrario, poteva disporre dei miei componenti con facilità, mi diedero da reagire in un ben determinato modo. La possibilità che il sistema della base fosse stato compromesso da fattori esterni era palese, mentre quella che il sistema potesse essere stato manomesso da fenomeni indotti, come un virus, non erano da escludersi.

    L'accesso non richiesto al mio apparato oculare indusse i miei sistemi ad inspessire una sorta di firewall nei riguardi della connessione con l'interfaccia. La facilità con la quale aveva accesso ai miei sistema poteva essere la stessa con la quale, qualsiasi anomalia l'avesse infettata, avrebbe potuto diffondersi nel mio stesso sistema. Tentai di proteggere la fetta di informazioni sensibili appartenenti alla IPCM ripartendoli in un anfratto della mia memoria d'immagazzinamento. Operazione che di default eseguivo come routine d'emergenza a cadenza regolare settimanale. Precauzioni e ordini.

    La scarica che dal braccio era risalita fino al mio cervello sollecitò una sorta di risposta psico motoria. Reclinai la testa come quando un essere umano necessitava distendere le vertebre cervicali. Fu una sensazione non piacevole.

    Lasciai, tuttavia, che E.L.R.I.K. potesse sfruttare i miei occhi per poter verificare lo stato del contesto circostante. Volsi lo sguardo dalla parte opposta a dove si trovava il Capitano, inquadrai parte della stanza, la scaletta, il generatore ed in fine volsi me stesso al resto dell'ambiente focalizzando il mio superiore quando si rivolse direttamente al Sistema della base. Il tempo a nostra disposizione esauriva poco a poco e non ne avevamo altro da sprecare. Le probabilità di avere bisogno dei sistemi di accesso e di un terminale attivo più avanti erano alte, quelle di non trovarne lo erano di più. Elaborai la soluzione migliore alle nostre necessità basandomi su semplici calcoli statistici. E.L.R.I.K. poteva scaricare ogni dato richiesto dal mio Capitano ma per lui stavo approntando un'altra piccola eccezione. Ripartii un settore del mio sistema per poter accogliere una copia in modalità provvisoria del suo. Gli stavo accomodando il mio hardware. Posso portarlo con noi per risparmiare tempo.
    Spiegai laconico al Capitano, affinchè comprendesse le mie intenzioni senza ombra di dubbio. La logica di questa iniziativa cozzava con l'analisi iniziale e le precauzioni riservate a possibilità di infezione ma era la più adatta ad ottimizzare le nostre possibilità di riuscita.


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