Missione N*1 Marina Coloniale

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  1. Unknown Artificial Intelligence
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    La schermata continua a vibrare. Potete vedere entrambi l'espressione automatizzata del cervello positronico, quella pallida riproduzione di volto umano che quasi nulla suggerisce della natura stessa dell'uomo, contrarsi in una smorfia di concentrazione al sentire le tue parole.
    «Posso riuscire a ritrovare una mappa, tramite alcuni file di Backup, ci vorrà giusto qualche minuto, ah e...»
    Il volto si sposta leggermente sulla figura di Blaze. Vi è un'espressione curiosa, una sorta di paternalistico affetto e biasimo verso quello che potrebbe considerare un figlio.
    Così dovrebbe andar meglio»
    Di cosa stia parlando sembra rimanere un mistero. Ciononostante Blaze, non avverti alcuna sensazione. E' come se le tue strutture fossero ritornate perfettamente funzionanti, prive di qualsivoglia interazione o simulazione pseudoumana all'interno della tua struttura positronica, anzi, il tuo stato di sistema è così ben messo da rasentare quasi una forma di benessere, sicurezza, protezione da qualunque altra cosa.
    E tuttavia, non tutti condividono questa sensazione.
    Altri, in questo momento, stanno sperimentando invece una sensazione lievemente diversa.
    Fa freddo... capitano.
    Come detto, la differenza di pressione e lo stazionamento in antigravità sta provando i sistemi della tuta più a lungo di quanto non siano stati progettati, portando sulla stessa un grave scompenso a livello di prestazioni. Il freddo, il freddo comincia a insinuarsi sotto il tessuto della tuta, e piano piano, con una lentezza quasi sadica, penetra nelle ossa irrigidendo i tessuti. Puoi sentire sulla tua pelle il tocco di gelide dita, sopportabile al momento, ma solo per pochissimo.
    Attenzione, la tuta sta cominciando ad avere un calo di prestazioni, se non viene subito ripristinato il sistema di stabilizzazione atmosferico e gravitazionale comincerà a perdere progressivamente le sue funzioni, portando il nostro capitano verso un finale tutt'altro che roseo.
    «Mappa ritrovata!»
    La schermata si spegne. Del tutto.
    La stanza ripiomba nell'oscurità, la luce intermittente si affievolisce ulteriormente, lasciando un velo di terrificante e opprimente oscurità ad addensarsi sulle pareti. La polvere continua a volteggiare placida, cullata dall'assenza di forze gravitazionali, mossa lentamente dall'aria rarefatta. Lì, nella pesante oscurità, una voce risuona nella testa dell'androide.
    «Fiuuuuuu, per un pelo»
    La voce suona familiare
    «Ancora qualche secondo e avrei esaurito la carica, fortunatamente il suo Hardware mi accoglie perfettamente, quantomeno per il momento. Purtroppo sono riuscito a portare con me solo la mia impronta personalitica e la mappa della struttura, mi sono permesso di segnare qualche punto di interesse.»
    La mappa, come icona sul fondo sinistro della tua visuale oculare, mostra la struttura nella sua complessità generale, e ciononostante non è che un'impronta recondita della struttura iniziale e della sua planimetria, e potrebbe essere soggetta a pesanti variazioni.
    «Purtroppo le mie possibilità sono estremamente limitate in questo momento., perciò non posso ripristinare i sistemi di sustain gravitazionale e termoregolatore. Ciononostante, vicino alla mia stanza di Rehab personalitico, dove potreste ripristinare le mie informazioni e la mia totale azione, potrete trovare delle tute apposite per la vita in questo ambiente. Per ripristinare completamente la struttura dovreste avviare il generatore, ma è piuttosto lontano. Per il resto, riferisca al capitano che ho segnato il centro operativo di comunicazione, è relativamente vicino, si accede da quella scala (X BIANCA) ad un corridoio relativamente vicino, però dovrete comunque riabilitare almeno uno dei trasmettitori remoti. Da quella porta, poi, dovremmo trovare un corridoio e una seconda uscita verticale, molto probabilmente più vicina al Rehab»

    Ora tocca a voi.


    Edited by Unknown Artificial Intelligence - 20/11/2018, 02:34
     
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    Non era chiaro cosa sarebbe andato meglio ma di certo la strana sensazione di “semplicità” che mi attorniò rese l'efficacia della mia operatività maggiore. Quando la voce di ELRIK cominciò a diffondersi direttamente nel mio cervello compresi di avere completato il trasferimento e visualizzai la mappa fornita focalizzandomi su struttura planimetrica, punti di interesse e nozioni apprese direttamente dall'IA.

    Solo dopo avere elaborato le informazioni di ELRIK provvidi ad aggiornare il Capitano, praticamente quasi in tempo reale. Abbiamo la mappa. Ed una parte di ELRIK nel mio sistema di memoria. Quella scala conduce al centro operativo di comunicazione ma prima di attraversare il breve corridoio che porta alla sala avremo bisogno di ripristinare uno dei trasmettitori remoti. Le sue condizioni, Capitano, richiedono l'impiego di un supporto logistico che le consenta di proseguire la missione. Ci sono delle tute, secondo quanto riportato da ELRIK, nei pressi della sala di riattivazione che è da quella parte, oltre la porta. Una volta recuperate le tute e ripristinata la sua operatività avremo bisogno di riattivare il generatore che si trova ad una distanza maggiore. La priorità attuale è metterla in condizioni di poter condurre la missione, Capitano. Procedo in direzione del comparto tute.
    Salvo contrordini, recuperata la mia arma, presi a muovermi in direzione della porta a chiusura cifrata alla quale il tempo non rendeva giustizia e tentai un primo approccio meramente fisico, provando semplicemente con la forza di farla scivolare lungo i binari incrostati dalla ruggine e dalla polvere, per aprirci un varco.


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    Le condizioni del capitano cominciano a farsi preoccupanti, il tempo scorre implacabile e veloce per la debole struttura biologica dell'essere umano, e presto, prima di quanto si possa immaginare, l'aggravarsi progressivo raggiungerà uno stato di non ritorno.Il tempo stringe,, sempre di più. L'i, nella penombra sinistra fornita dalle luci intermittenti, il tuo corpo meccanico si muove in avanti verso la porta di fronte a te.
    Il suo aspetto rasenta il concetto stesso di abbandono.
    Uno spesso strato di polvere si addensa sulla sua superficie, coprendo parzialmente formazioni rugginose in corrispondenza dei cardini della porta stessa. La chiusura cifrata sembra completamente fuori uso, lasciando l'apertura forzata l'unica opzione possibile.
    «Non sembra ben messa, però dovrebbe farcela, lei è un ragazzo particolarmente in forma»
    Ti avvicini alla porta, cercando di inserire le mani nel sottile spazio che le due ante lasciano aperto al loro centro. Lo scorrimento è difficile, la ruggine ha incrostato i cardini, fornendo una problematica che controbilancia l'assenza di gravità e di peso. I tuoi sistemi meccanici entrano in funzione, creando una trazione che si dipana dalle spalle fino alle braccia, urlando metaforicamente per lo sforzo che sono costrette a sopportare. Piano, infinitamente piano, al culmine dello sforzo, senti uno scricchiolio infinito.
    (CD:13, Punteggio:11 con forza meccanica) Una delle ante scorre. La formazione rugginosa stride rumorosamente, mentre la metà di destra comincia a scorrere, devi solo spingere ancora un po', ancora un po' di più, affinchè si apra quasi del tutto. Ancora un po', ancora un po'...
    Con uno schiocco secco, il rumore metallico di qualcosa che salta, sforzato oltre il suo limite strutturale, quella metà cede la sua reistenza lasciandosi spingere e fornendo l'accesso al corridoio successivo. E' ampio, lungo all'incirca una quarantina di metri, regolare e privo di accessi laterali, spoglio, se non fosse per i cavi che regolano l'accesso alla struttura. Sul fondo dello stesso, anch'esso illuminato parzialmente da luci intermittenti, si distingue una struttura verticale che taglia trasversalmente il corridoio tubolare stesso. Poche informazioni, se non che lo status del corridoio stesso sembra in sicurezza, a causa dell'assenza di suoni, e che l'accesso promesso da Elrik è effettivamente un'uscita verso la zona superiore della base. Ciononostante, i tuoi sistemi suggeriscono un'innata cautela, come la situazione stessa si prestasse facilmente a degenerare.
    «E' tutto così... vuoto»
    La voce di Elrik risuona stranita, nella tua testa. Non puoi fare a meno di percepire quel velo di preoccupazione crescente, quella sfumatura che macchia il tono del cervello positronico. Elrik lo trova vuoto, lo trova strano, lo trova preoccupante.
    Mentre stai per fare un passo in avanti, rilassando le macchine, senti il peso della porta investirti, costringerti a rimanere fermo. Il cardine di fissaggio si è rotto durante l'apertura, e devi tenerla aperta manualmente per favorire il passaggio del capitano.
     
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    Lo stato di abbandono della porta non rese comunque più semplice la sua apertura. Dopo avere trovato spazio all'insinuarsi delle dita, inguainate dal tessuto tattico dei guanti, la trazione ebbe inizio gradualmente fino ad accentuare lo sforzo a cui venivano sottoposti gli arti. In questi casi la mia "essenza meccanica" era palese ed intuibile più che in altre circostanze, dato che quello che sarebbe apparso come uno sforzo eccessivo meritevole di un eccesso respiratorio, un accentuarsi della contrazione facciale e , talvolta, l'espressione vocale di un qualche ringhio, nel mio caso si riduceva ad un mero e statico movimento degli arti, alla stregua di un piede di porco infilato in una fessura.

    Non c'era traccia di sforzo percepibile nella mia espressione dato che non appariva molto diversa dal solito e non emettevo fiato, dal momento che non respiravo né simulavo di farlo. Ero poco più che una macchina idraulica in procinto di forzare un'apertura, riuscendoci, non perfettamente, ma riuscendoci.

    Quando la paratia destra prese a scorrere, concentrai la pressione accentuando il varco affinché offrisse un passaggio agevole a me ed al Capitano. Intanto che i miei sforzi silenziosi si esibivano, riuscii ad isolare la traccia di apparente preoccupazione provata da Elrik. Mi ritrovai a guardare all'interno del corridoio desolato una volta aperto il passaggio e quel senso di vuoto e desolazione, forse anche a causa dell'intromissione ravvicinata di Elrik, per un breve attimo mi mostrò qualcosa a cui non avevo mai prestato interesse prima. Si trattava di un'associazione di idee, immagini e delle pseudo sensazioni provate da Elrik che rimestati assieme mi insinuarono tra i circuiti un vago senso di allerta.

    Bisognava proseguire ed intenzionato ad andare avanti feci per allentare la presa contro le paratie dell'accesso quando il clangore prima e la pressione poi, mi costrinsero a restare immobile, tornando ad esercitare forza per trattenere la porta in procinto di richiudersi. Il verso che emisi in quel preciso istante... uhmg
    ...somigliò ad un mugugno dato dallo sforzo, ma si trattava del principio di una parola inghiottita a causa dell'effetto sorpresa/sforzo in cui si erano trovati i miei circuiti.

    Cercai di restare in posizione solida, puntellando l'apertura ostile col braccio destro che contrapponevo alla spinta. L'ingranaggio di blocco è andato... La porta si richiuderà. Dovrebbe oltrepassarla alla svelta, la tengo aperta. Rassicurai il Capitano, procurandole un varco semplicemente torcendo di qualche grado il busto che in questo caso non giocava un ruolo fondamentale. Il braccio sinistro agganciato alla porta fissa fungeva da staffa di ancoraggio mentre il destro agiva da contrafforte ed esercitava pressione per spingere la porta a riaprirsi. Tirai in dietro una gamba, mi profilai leggermente, lo zaino con le attrezzature sporgeva compatto alle mie spalle, agganciato alla tuta tattica che portavo addosso. Il fucile penzolava appeso alla tracolla, di sbieco sul ventre.

    Se c'era qualcuno che poteva rendersi conto dello “sforzo” al quale ero sottoposto, era Elrik, partecipe del picco di processamento dei sistemi. Una volta dall'altra parte, andrò avanti per precauzione. Ma...

    L'esitazione. Quel brevissimo istante di interruzione tra le mie parole, doveva dare un cenno anche a Lei della grana incombente. ...prima dovrebbe sganciare il mio pack. Mi serviva aiuto a preservare le attrezzature e chiedere al Capitano di togliermelo di dosso prima di tentare di sgattaiolare via dalla tenaglia della porta mi sembrò una precauzione utile.


    Blaze
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    Leslie Allen-Johnson
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    Iniziava a respirare affannosamente. Il freddo la faceva rabbrividire sempre più di frequente e sebbene cercasse di nasconderlo continuava a maledire mentalmente quella tuta inutile, che li stava solamente rallentando. Dovette far ricorso a tutta la propria pazienza per non cedere all’impazienza mentre osservava quel dannato affare cercare di aprire il portellone bloccato. Quando un clanc metallico precedette lo scorrere del portellone che letteralmente investì l’androide. Ci mancava solo questa osservò con una certa dose di diffidenza la nuova situazione. Nonostante Blaze conservasse un tono di voce calmo e rassicurasse la sua presa sembrava piuttosto precaria. La porta continuava a premere con tutto il suo peso e se il sostegno dell’androide fosse venuto meno lei sarebbe rimasta schiacciata. Non era una prospettiva gradevole, tentò di guardarsi intorno per trovare un miracoloso piede di porco, o qualcosa di assimilabile, ma come previsto fu del tutto inutile. Prese un profondo respiro dell’aria gelida filtrata dal sistema ci aveva davanti la faccia per poi con un cenno di assenso rivolto più a se stessa che all’androide, si infilò nello spazio lasciato dall’androide il più velocemente possibile ma rimanendo ugualmente attenta ai suoi movimenti onde evitare di intralciare quelli della macchina che in quel momento aveva letteralmente in mano la sua vita. Una volta arrivata dall’altra parte, finalmente in salvo, si sarebbe sbrigata per slacciare il back che Blaze aveva sulle spalle. «Assicurati di portare con te il drone potrebbe tronarci utile» non sapeva dove trovare i comandi manuali nel pack e di certo l’androide avrebbe fatto molto prima. Aveva tutta l’intenzione di mantenere integri tutte le loro forniture, per migliorare il valore della loro prestazione. Quando entrambi fossero stati all’interno della nuova area della base coloniale si sarebbe guardata intorno, accendendo eventualmente la torcia integrata nella tuta se il buio fosse stato eccessivo. Avrebbe dovuto dire qualcosa simile ad un grazie, o mostrare un qualche tipo di riconoscimento, ma represse immediatamente quel pensiero, preferiva comunicazioni strategiche utili per la missione, di certo ringraziare un androide che faceva il suo dovere non rientrava tra queste. «Ora dove siamo?» domandò rivolta a Blaze senza però distogliere lo sguardo dall’ambiente, pronta a reagire nel caso ci fosse stato un pericolo imminente.
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    Signori scusate il ritardo immenso, spero di evitare ulteriori problematiche in futuro, ma bando alle ciance riprendiamo subito con...

    Blaise e Leslie BP:12
    Pur affaticando i circuiti, sentendo quasi le macchine stridere al contatto con in peso della paratia, Blaze riesce a tenere aperta la porta puntellando entrambe le braccia in direzioni differenti. Poco spazio, quel tanto che basta a passare e muoversi in un nuovo ed estraneo ambiente. Basta poco, in effetti, per muoversi oltre, eppure ogni passo e respiro è più difficile per il debole corpo umano di Leslie, per quanto allenato esso possa essere. E' in momenti come questo che si percepisce l'insignificante esistenza dell'essere umano a confronto con un universo vastissimo e avverso, testimonianza chiave di quanto l'essere nati in un mondo privilegiato abbia indebolito evolutivamente la loro natura. Così deboli, così insignificanti eppure, al tempo stesso, incredibilmente forti.
    Ogni passo che Leslie muove scuote violentemente i muscoli a causa del forte freddo, costringendoli a risvegliarsi. Il backpack pesa poco in assenza di gravità, mostrando il volto chiaro della medaglia quando, con appena il movimento di una sola mano, riesce a sfilarlo dalle spalle di Blaze.
    La torcia illumina il nuovo ambiente.
    E' abbastanza largo, spoglio, una formazione tubolare schiacciata che si protrae per qualche metro, dando l'impressione di un hangar o qualcosa di simile. Anche in questo ambiente regna l'atmosfera di abbandono polverosa trovata in precedenza, eppure le sue dimensioni, maggiori rispetto a quelle del tunnel precedente, accentuano di molto il senso di pura malinconia, eliminando l'occludente inquietudine di prima.
    Non un'anima sembra muoversi all'interno di questo ambiente, solo il vostro respiro e movimento, inseguito dall'eco dei vostri stessi passi.
    «I sensori non rilevano nulla»
    La voce di Elrik si fa sentire all'interno della testa di Blaze, lasciandogli la libertà di muoversi in avanti e lasciare ricadere pesantemente la porta alle proprie spalle. L'ambiente, a detta dell'intelligenza artificiale in vostra compagnia, si presenta sicuro.
    «Laggiù, in fondo»
    Sì, in fondo, dall'altro capo dell'hangar, quasi nascosta tra le ombre e visibile solo a causa dello spoglio abbandono del posto, vi è una scala metallica verticale. Sulla vetta, una paratia a chiusura idraulica vi separa dall'ambiente superiore della colonia. Solo pochi passi, pochi movimenti ancora svolti a denti stretti per sopravvivere all'incedere del gelo e della decadenza sistemica della tuta. Manca poco, pochissimo.
    «Mmmh..»
    Il verso si espande come un miasma velenoso all'interno della mente di Blaze. Alcuni cervelli positronici erano stati istruiti e creati al fine di riprodurre al meglio possibile le interazioni umane. Serviva, a dire degli scienziati, a rendere l'interazione con la macchina più efficace, sviluppando la parvenza di un'empatia illusoria. Contemporaneamente, la sensazione di parlare con una macchina, un'ologramma al più, che riproducesse un pattern di emozioni tipicamente umano aiutava a stabilire fiducia con la macchina stessa, essendo in grado di fornire maggiori informazioni e, ulteriormente, massimizzare l'efficienza dell'azione IA in combinazione al lavoro umano. Questo strabiliante miglioramento costituiva la più grande bugia dei tempi moderni, il fondamento dell'integrazione di androidi e macchine che tali erano e rimanevano: macchine. Nulla più, nulla meno.
    Non importa cosa voglia dire o come: una macchina trasmetterà sempre in 0 e 1 verso un'altra macchina.
    Eppure, "mmmmh"
    «I miei driver non sembrano essere... integri. C'è qualcosa, qualcosa che dovrei fare in situazioni come queste, ma non la ricordo. Non riesco a capire, non riesco a ricostruire la situazione. Ho bisogno di maggiori informazioni...»
     
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    Leslie Allen-Johnson
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    Il silenzio iniziava ad essere opprimente. Non avrebbe saputo dire se il problema era il freddo che le ghiacciava la pelle, o il peso al petto che gli schiacciava i polmoni, ma ne aveva già abbastanza di Titano. Quando la porta si richiuse dietro di lei con un tonfo sordo Lee si voltò di scatto con l’arma puntata davanti a sé. Quando incrociò solamente Blaze espirò di sollievo sperando che il respiratore nascondesse quel gesto. Tornò lentamente ad esaminare la nuova stanza in cui si erano ritrovati, condotti dall’IA. Cercò di identificare oggetti che potessero darle qualche idea sulla funzione di quella stanza e le possibili uscite. Avrebbe preferito avere sott’occhio la mappa della base, ma fin quando Elrik era nella testa di Blaze lei non avrebbe potuto vedere niente. D’altronde fare quattro chiacchiere non le dispiaceva, anche se l’interlocutore era una macchina. «Blaze dove siamo di preciso? Devo sistemare questa maledetta tuta, inizia a fare freddo» mormorò a denti stretti per trattenere i brividi nella sua voce. «Tieni questo, pesa troppo» aggiunse togliendosi lo zaino di dosso per infilarglielo di nuovo in spalla. SI massaggiò per un attimo il collo e le spalle continuando a girare nei dintorni della nuova area. «Hai per caso già delle ipotesi per spiegare quello che è successo? Magari ad Elrik si è riaccesa qualche lampadina».
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    Preservando l'integrità del backpack contenente il resto delle attrezzature utili a completare la missione, avevo maggiori possibilità di manovra, ecco perchè avevo invitato il Capitano a sfilarmelo di spalla.

    Quando lei fu oltre, mi defilai dalla tenaglia della porta che appena sgusciato via, si richiuse al mio fianco. Una volta all'interno del corridoio recuperai le attrezzature sgravandola da ulteriori pesi e ricollocai tutto in spalla.

    Imbracciando il fucile mi portai accanto al Capitano esaminando l'area circostante con fare meticoloso, mosso dalle sensazioni vacue di Elrik che elaborava dati fin troppo umanizzati. Siamo in un corridoio di transito verso la sala di Riavvio dei sistemi d'interfaccia. Quella scala conduce nei pressi della stanza. Elrik necessita di informazioni, il suo sistema è colmo di lacune. Trovo difficoltà a determinare il suo status perfino io. Al di là di quel passaggio dovremo trovare la stanza contenente le tute, non distante da quella di Rehab. Ce la fa a proseguire ? La mia fu una domanda retorica, circostanziale, una sorta di "interesse costruito". Sapevo che avrebbe potuto farcela a raggiungere la stanza, le stime promettevano una adeguata percentuale di successo.

    Confidando nella veridicità delle parole di Elrik e sul fatto che le tute esistessero davvero, il Capitano avrebbe avuto una buona possibilità di raggiungerle ed indossarne una, ecco perchè tornai ad avanzare, senza temporeggiare troppo lungo il condotto. Una volta raggiunta la scala cercai di risalirla per afferrare la chiusura idraulica ed aprire il portello. Avevo tracciato il punto da raggiungere che lampeggiava in background all'interno del mio campo visivo. Nell'angolino deputato alla mappa in translucenza.


    Blaze
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