Missione N*1 Marina Coloniale

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  1. Nexus7
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    Lo stato di abbandono della porta non rese comunque più semplice la sua apertura. Dopo avere trovato spazio all'insinuarsi delle dita, inguainate dal tessuto tattico dei guanti, la trazione ebbe inizio gradualmente fino ad accentuare lo sforzo a cui venivano sottoposti gli arti. In questi casi la mia "essenza meccanica" era palese ed intuibile più che in altre circostanze, dato che quello che sarebbe apparso come uno sforzo eccessivo meritevole di un eccesso respiratorio, un accentuarsi della contrazione facciale e , talvolta, l'espressione vocale di un qualche ringhio, nel mio caso si riduceva ad un mero e statico movimento degli arti, alla stregua di un piede di porco infilato in una fessura.

    Non c'era traccia di sforzo percepibile nella mia espressione dato che non appariva molto diversa dal solito e non emettevo fiato, dal momento che non respiravo né simulavo di farlo. Ero poco più che una macchina idraulica in procinto di forzare un'apertura, riuscendoci, non perfettamente, ma riuscendoci.

    Quando la paratia destra prese a scorrere, concentrai la pressione accentuando il varco affinché offrisse un passaggio agevole a me ed al Capitano. Intanto che i miei sforzi silenziosi si esibivano, riuscii ad isolare la traccia di apparente preoccupazione provata da Elrik. Mi ritrovai a guardare all'interno del corridoio desolato una volta aperto il passaggio e quel senso di vuoto e desolazione, forse anche a causa dell'intromissione ravvicinata di Elrik, per un breve attimo mi mostrò qualcosa a cui non avevo mai prestato interesse prima. Si trattava di un'associazione di idee, immagini e delle pseudo sensazioni provate da Elrik che rimestati assieme mi insinuarono tra i circuiti un vago senso di allerta.

    Bisognava proseguire ed intenzionato ad andare avanti feci per allentare la presa contro le paratie dell'accesso quando il clangore prima e la pressione poi, mi costrinsero a restare immobile, tornando ad esercitare forza per trattenere la porta in procinto di richiudersi. Il verso che emisi in quel preciso istante... uhmg
    ...somigliò ad un mugugno dato dallo sforzo, ma si trattava del principio di una parola inghiottita a causa dell'effetto sorpresa/sforzo in cui si erano trovati i miei circuiti.

    Cercai di restare in posizione solida, puntellando l'apertura ostile col braccio destro che contrapponevo alla spinta. L'ingranaggio di blocco è andato... La porta si richiuderà. Dovrebbe oltrepassarla alla svelta, la tengo aperta. Rassicurai il Capitano, procurandole un varco semplicemente torcendo di qualche grado il busto che in questo caso non giocava un ruolo fondamentale. Il braccio sinistro agganciato alla porta fissa fungeva da staffa di ancoraggio mentre il destro agiva da contrafforte ed esercitava pressione per spingere la porta a riaprirsi. Tirai in dietro una gamba, mi profilai leggermente, lo zaino con le attrezzature sporgeva compatto alle mie spalle, agganciato alla tuta tattica che portavo addosso. Il fucile penzolava appeso alla tracolla, di sbieco sul ventre.

    Se c'era qualcuno che poteva rendersi conto dello “sforzo” al quale ero sottoposto, era Elrik, partecipe del picco di processamento dei sistemi. Una volta dall'altra parte, andrò avanti per precauzione. Ma...

    L'esitazione. Quel brevissimo istante di interruzione tra le mie parole, doveva dare un cenno anche a Lei della grana incombente. ...prima dovrebbe sganciare il mio pack. Mi serviva aiuto a preservare le attrezzature e chiedere al Capitano di togliermelo di dosso prima di tentare di sgattaiolare via dalla tenaglia della porta mi sembrò una precauzione utile.


    Blaze
    Tecnico IPCM

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